In questi giorni ho letto e riletto tanti testi sulla pasqua. Uno di questi che mi ha sempre colpito contiene gli auguri di don Tonino Bello, il vescovo di Molfetta in odore di santità, presidente di Pax Christi e profeta inascoltato che ha preconizzato una chiesa che fosse capace di schierarsi da parte degli ultimi.
Ripropongo il testo degli auguri perché penso che siano molto attuali e in sintonia con il periodo che stiamo vivendo in questo tempo di pandemia mondiale che rischia di paralizzarci non solo a livello economico e sociale, ma anche a livello psicologico e spirituale.
La pasqua a cui pensa don Tonino non è solo per i credenti ma per tutti. Una sorta di pasqua universale, cristiana e laica, che fa leva sulla categoria della speranza. Una pasqua interiore e sociale. Il testo di don Tonino sembra anticipare le parole che Papa Francesco ha pronunciato domenica mattina alla benedizione Urbi et orbi. E allora buona pasqua a tutti con le parole di Tonino Bello.
Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme, messa all’imboccatura dell’anima, che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. È il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione, del peccato. Siamo tombe allineate. Ognuna col suo sigillo di morte. Pasqua, allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi. E se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo del terremoto che contrassegnò la prima Pasqua di Cristo. Pasqua è la festa dei macigni rotolati. È la festa del terremoto. Il Vangelo ci dice che i due accadimenti supremi della storia della salvezza, morte e resurrezione di Gesù, furono entrambi caratterizzati dal terremoto (Mt 27, 51; 28, 2). Pasqua, dunque, non è la festa del ristagno…
Come vorrei che il mio augurio, invece che giungervi con le formule consumate del vocabolario di circostanza, vi arrivasse con una stretta di mano, con uno sguardo profondo, con un sorriso senza parole! Come vorrei togliervi dall’anima, quasi dall’imboccatura di un sepolcro, il macigno che ostruisce la vostra libertà, che non dà spiragli alla vostra letizia, che blocca la vostra pace! Posso dirvi però una parola. Sillabandola con lentezza per farvi capire di quanto amore intendo caricarla: “coraggio”! La Risurrezione di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore, è il paradigma dei nostri destini. La Risurrezione. Non la distruzione. Non la catastrofe. Non l’olocausto planetario. Non la fine. Non il precipitare nel nulla.
Coraggio, fratelli che siete avviliti, stanchi, sottomessi ai potenti che abusano di voi. Coraggio, disoccupati. Coraggio, giovani senza prospettive, amici che la vita ha costretto ad accorciare sogni a lungo cullati. Coraggio, gente solitaria, turba dolente e senza volto. Coraggio, fratelli che il peccato ha intristito, che la debolezza ha infangato, che la povertà morale ha avvilito. Il Signore è Risorto proprio per dirvi che, di fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che chiuda, non c’è macigno sepolcrale che non rotoli via. Auguri. La luce e la speranza allarghino le feritoie della vostra prigione.
La Pasqua frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del «terzo giorno». Da quel versante le croci sembreranno antenne, piazzate per farci udire la musica del cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate, lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo. Pasqua, festa che ci riscatta dal nostro passato! Allora, Coraggio! Non temete! Non c’è scetticismo che possa attenuare l’esplosione dell’annuncio: “le cose vecchie sono passate: ecco ne sono nate nuove”. Cambiare è possibile. Per tutti. Non c’è tristezza antica che tenga. Non ci sono squame di vecchi fermenti che possano resistere all’urto della grazia
La strada vi venga sempre dinanzi e il vento vi soffi alle spalle e la rugiada bagni sempre l’erba cui poggiate i passi. E il sorriso brilli sempre sul vostro volto. E il pianto che spunta sui vostri occhi sia solo pianto di felicità. E qualora dovesse trattarsi di lacrime di amarezza e di dolore, ci sia sempre qualcuno pronto ad asciugarvele. Il sole entri a brillare prepotentemente nella vostra casa, a portare tanta luce, tanta speranza e tanto calore….