“L’università è scesa in campo contro la mafia, tutta Foggia è scesa in campo con un approccio che tiene insieme tutte le istituzioni. Quando abbiamo detto che in Puglia siamo tutti foggiani è perché siamo orgogliosi di questa città che ha la schiena dritta e che combatte la mafia senza esitazioni.
Sento l’Italia negli interventi del vescovo, del prefetto, dei procuratori della Repubblica, con l’ottimismo di chi sa che stiamo lavorando bene e che li andremo a prendere. Andremo a prendere chi sta agendo nell’illegalità. Vorrei dedicare questo mio intervento al testimone chiave, l’imprenditore che ha subito minacce pesantissime ma che con il sostegno di tutta la comunità ha denunciato questo tentativo di infiltrazione. Una persona perbene che ha insegnato anche alle giovani generazioni come bisogna comportarsi.
Adesso bisogna difendere questo patrimonio. La squadra è in campo. Queste non sono battaglie che possono essere combattute solo dalle istituzioni locali, qui ci vuole tutta la forza dello Stato, che educa i ragazzi, che rafforza gli imprenditori con le istituzioni antiracket e che li libera dalla paura. Questi individui, i mafiosi, una volta svelati si dissolvono. Per questo la denuncia è la strada giusta, così come la collaborazione tra istituzioni.
Noi vediamo in lei procuratore de Raho, nella magistratura e nelle forze dell’ordine la forza dello Stato. La dichiarazione di giustizia l’abbiamo fatta, ora dobbiamo andare avanti sino in fondo”.
Lo ha detto oggi a Foggia il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, intervenendo all’iniziativa dell’Università di Foggia e dell’Arcidiocesi di Foggia-Bovino “Il Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho incontra la cittadinanza”.
“Foggia è ormai la mia sede normale di lavoro: non c’è alcuna meraviglia per il fatto che stia molto spesso qui dove oggi c’è una discussione rilevante – ha detto Emiliano ai giornalisti – Ieri c’è stato un altro episodio che mi ha fatto arrabbiare, con la distruzione dei mezzi della società che gestisce la raccolta dei rifiuti a San Severo dopo quelli di San Giovanni Rotondo. Mi auguro che le informazioni investigative ci mettano in grado di capire cosa sta accadendo. Quel che è certo è che c’è una particolare sfrontatezza che va compresa: in questo periodo le mafie in quasi tutta Italia si immergono, si nascondono, lavorano con tecniche di dissimulazione e invece qui a Foggia tutto avviene in maniera strafottente, mancando di rispetto alle istituzioni e ai cittadini.
Ho come l’impressione che stiano cercando di ricostruire un meccanismo di intimidazione, di assoggettamento e di omertà, che sono gli elementi costitutivi del delitto di associazione mafiosa, il 416 bis, perché evidentemente, contrariamente al passato, le collaborazioni, i testimoni, le informazioni si stavano moltiplicando e questo ha creato uno sconcerto nelle organizzazioni criminali. Queste mafie stanno qui da venticinque-trent’anni: sono organizzazioni pluricondannate tra le più feroci e le più capaci di creare assoggettamento e omertà.
Quelle di Foggia, di San Severo hanno nomi e cognomi, che sono sempre gli stessi. Sembra quasi una Dynasty. Quindi chi continua a distinguere gli atteggiamenti dall’organizzazione mafiosa, sbaglia.
Qui c’è una organizzazione militare che copre tutto il territorio e che contende allo Stato il controllo della nostra vita.
Lo Stato deve mettere queste persone in galera e in posti dove facciano meno danno possibile, per questo esiste il 41 bis”.
Sono intervenuti mons. Vincenzo Pelvi, arcivescovo di Foggia-Bovino, con le relazioni di Federico Cafiero de Raho, Raffaele Grassi (Prefetto Foggia), Giuseppe Volpe (Procuratore Repubblica Bari – DDA), Ludovico Vaccaro (Procuratore Repubblica Foggia) e con le conclusioni di Pierpaolo Limone, rettore Unifg.