In Conferenza Stato Regioni nelle prossime ore sarà portata in approvazione la proposta di legge quadro per l’autonomia differenziata. Se ne fossi componente mi opporrei. E chiederei anzitutto la modifica sostanziale di norme, procedure, algoritmi e quant’altro abbia penalizzato in questi decenni il nostro Mezzogiorno rispetto al resto del Paese.
E chiederei che si definiscano prima, non di là da venire, i criteri oggettivi e le riforme di merito a fondamento della riduzione delle disuguaglianze territoriali e della perequazione obbligatoria fra le Regioni.
Ho vissuto per troppo tempo, e in prima persona, l’esperienza dell’egoismo e del potere dei numeri delle Regioni del Nord. Quando, in Conferenza Stato Regioni come rappresentante della Puglia, sono stata costretta a inchiodare la riunione fino a notta fonda per affermare con le unghie e con i denti i diritti sacrosanti della mia Regione e dei suoi cittadini. E a volte anche delle altre Regioni del Sud.
Dicono che il presupposto della legge quadro sull’autonomia differenziata sia che la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sarà affidata ad apposita Commissione istituita presso il
Ministero dell’Economia e Finanze, la quale dovrà ultimare i lavori entro un anno, pena la ripartizione delle risorse con il criterio farlocco della “spesa storica” che, com’è noto, è il complesso delle
risorse finanziarie utilizzate dalla singola regione (al sud nettamente inferiore rispetto al centro/nord).
E cosa succede se nel frattempo questo governo cade, tornano i fautori degli interessi del Nord, e viene meno il principio di solidarietà nazionale? Quale destino e quali risorse, in Puglia e nel Mezzogiorno, per il governo di ambiente, territorio, infrastrutture, trasporti, salute, istruzione, politiche sociali e per il lavoro?
Ma anche ammesso che si sia in grado di definire i livelli essenziali delle prestazioni, non sarà stato comunque rimosso il macigno che ha storicamente affossato il Sud, il criterio dell’età media,
estremamente penalizzante per il Mezzogiorno. Ma che a nessuno, a quanto pare, nemmeno a Francesco Boccia, interessa rivedere.
Il processo di integrazione e di perequazione economica e sociale è atteso da troppo tempo per essere piegato ad interessi parziali e contingenti.
È già successo nel 2001, al tempo dell’approvazione della legge di riforma del titolo V della Costituzione.
È stato un disastro. Ora basta. Abbiamo già dato.