Per comprendere il sistema di corruzione che si è venuto a creare in questi ultimi anni sul nostro territorio garganico e in Capitanata bisogna cercare di comprendere alcuni meccanismi che lo hanno favorito e lo stanno continuamente alimentando. Penso che si sia venuto a creare una sorta di circuito vizioso che ha visto implicati i tre soggetti di potere che tra di loro hanno stipulato, magari senza aver elaborato un pensiero logico, come una “perversa alleanza” di sistema. Si tratta del potere economico, di quello politico e, per ultimo, di quello elettorale dei singoli cittadini: da una scorretta “alleanza” tra i tre ne è uscito un “sistema malato”, adatto alle “infiltrazioni di stampo mafioso”!
Bisogna partire da una premessa, che riguarda in primis la situazione del “terzo potere”, quello elettorale (forte disoccupazione) e quella del “primo potere”, l’economico (alla ricerca di commesse e fondi pubblici). Vista la grande fame di lavoro che esiste sul territorio, e la situazione diffusa di generale disoccupazione, è logico affermare che da noi oggi il potere “più forte” lo possiede chi è in grado di offrire o proporre possibilità di lavoro. Chi è in grado di offrire lavoro ha a sua volta bisogno di vincere la concorrenza e di accaparrarsi quote di mercato su cui piazzare l’offerta dei propri prodotti o servizi allargando la sfera di interesse. Da qui la necessità di intrattenere col “secondo potere”, quello politico”, e con le istituzioni relazioni particolari e di favore per avere permessi e finanziamenti, per ricevere commesse e vedersi affidare appalti sicuri e redditizi. Nasce così l’alleanza perversa tra il cattivo imprenditore (= potere economico) senza scrupoli e il politico corrotto arrivista e affarista (= potere politico), il quale forse ha tutta una cerchia di amici e parenti da sistemare (= potere elettorale). Questo modo clientelare di fare impresa ha inquinato anche quella parte sana dell’economia locale, costringendo specie i futuri imprenditori ad adottare lo stesso stile per riuscire ad entrare in competizione, ed ha reso debole, per non dire infetto, tutto l’ambito socio-politico. La conclusione è che il sistema risulta inquinato e corrotto: si viene così a formare l’ambiente idoneo entro il quale trovano facile linfa le logiche mafiose. Messo a tacere il bene comune, rimane solo la forza individuale, che ha nell’apparente “più forte” colui che decide ed imposta le scelte in tutti gli ambienti e nelle istituzioni che reggono il territorio.
In cambio di favori clientelari, l’imprenditore corrotto promette al politico dei posti di lavoro che egli potrà usare nelle proprie campagne elettorali. Nasce così la figura del politico colluso il quale pensa che la forza della politica risieda non tanto nei programmi seri e articolati in vista dello sviluppo del territorio e della promozione del bene comune, ma nella quantità di posti che riesce a promettere e far aggiudicare al suo “elettorato”. L’equazione è la seguente: “più posti di lavoro promessi equivale a più voti e più riuscita politica”. In questo modo il meccanismo del consenso viene inquinato: i cittadini esasperati non voteranno coloro che hanno a cuore il bene della collettività, ma quanti hanno il potere di sistemare i propri figli, parenti, e forse anche sé medesimi. Così il circuito dei “tre poteri” si chiude, diventando sempre più infetto ed infettante:
- “io ti do i posti di lavoro e tu mi dai i permessi, le licenze, e le commesse”, dice l’imprenditore.
- “Io vi offro lavoro in cambio di voti”, dice il politico.
- “Io ti offro il mio voto se mi fai lavorare”, dice l’elettore.
Si tratta di un circuito vizioso dove la politica subisce il ricatto di una economia inquinata che campa sulla carenza di lavoro e bisogno di lavoro della cittadinanza.
In una situazione di questo tipo si introduce la malavita organizzata con i suoi affari illegali. La malavita ha bisogno della politica per ricevere autorizzazioni e riconoscimenti, che le permettano di aprire attività, che di facciata sembrano dare lavoro e promuovere il benessere della comunità, tanto che i cittadini ci stanno al ricatto, ma che di fatto costituiscono un sotterfugio per il riciclaggio di denaro sporco, guadagnato altrove con attività criminose, come la prostituzione, il caporalato, il pizzo, l’usura, la vendita di stupefacenti o l’ecomafia.
A questo punto la politica è sotto scacco perché diventa ricattabile. Infatti, non deve più dare conto al popolo, né deve più rispettare i processi democratici previsti per la costruzione del consenso. Essa darà conto solo a poteri criminali che non si fermeranno più davanti a nulla e si sentono e fanno sempre più esigenti: il conto diventa ogni giorno più esoso.
La domanda da porsi è; come è possibile rompere questa alleanza perversa diventata sistema (o come la chiamò Giovanni Paolo II “struttura di peccato”), per poter innescare alleanze positive?
Di fronte a tutto questo la Chiesa si sente impegnata nella formazione di laici onesti e competenti che sappiano dare un volto nuovo non solo alla politica, ma prima ancora a modelli di imprenditorialità, e ad una generale rieducazione al senso civico dei singoli cittadini, che come elettori sono chiamati a dare il proprio consenso, con responsabilità e coscienza matura e non secondo logiche di scambio clientelare e sotto il ricatto della malavita organizzata.
+ p. Franco Moscone crs
Arcivescovo