Dopo aver ricostruito la storia del Cinema Impero, non potevamo non trattare la storia del Cinema Fulgor, un altro cinema che ha scritto la storia dei cinematografi di Manfredonia la cui scritta è collocata all’interno del Museo Storico dei Pompieri e della Croce Rossa Italiana di Manfredonia
Subito dopo il secondo conflitto mondiale, insieme con la riapertura del Cinema Pesante, Michele Pesante e i nipoti Antonio e Federico, inaugurano un altro locale nel popolarissimo quartiere alle propaggini di Manfredonia il Fulgor. Il locale di via dell’Arcangelo, dove è allestito il Fulgor, era inizialmente un deposito di legname. Durante la guerra quando tutto il legname viene requisito, il locale è utilizzato come dormitorio per le truppe di fanteria italiane. Ma nel 1947, ottenuto il permesso ministeriale, viene trasformato in cinema. Il film d’apertura è La Freccia nel fianco prodotto nel 1945 e diretto da Alberto Lattuada con Mariella Lotti, Leonardo Cortese, Cesarino Barbetti e Roldano Lupi, tratto dal romanzo omonimo di Luciano Zuccoli.
Il locale ha una capienza di 277 posti. In un primo momento proietta film di alto livello artistico come Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica – perché i fratelli Pesante vogliono dare vita ad un cinema di un certo respiro culturale. Però, il pubblico scarseggia. In fondo, Manfredonia è un paese prevalentemente di pescatori che andavano al cinematografo per trascorrere una serata spensierata. Il Fulgor deve, quindi cambiare la sua programmazione, che diviene quasi parallela a quella del cine teatro Pesante, addirittura spesso nella stessa serata si proiettano due film, così quando è brutto tempo, e le barche non possono uscire in mare, il pubblico con il prezzo di un solo biglietto trascorre tutta la serata al cinema. Nel 1949 l’impresa Pesante affida la gestione a Giovanni Ricucci. A metà anni ’60 il Fulgor, inizia la parabola discendente con un calo nella vendita dei biglietti da 119.000 nel 1963 a 5.600 nel 1964. Nonostante tutto, le proiezioni durano fino al 1984, tre anni prima della chiusura del cine-teatro, quando i Pesante tentano di scongiurare la crisi concentrando tutta la loro attenzione sul neonato cinema Vittorio. E il Fulgor, negli anni, è diventato un anonimo magazzino fino a quando viene acquistato da una ditta di Manfredonia che lo restaura per cederlo in affitto a una ditta di San Severo che esercita la vendita di abbigliamento e calzature Superga e quindi ai fratelli Zino che nel locale denominato “Bramanthe” lo adibiscono a caffetteria, gelateria e pasticceria. Durante i lavori di restauro l’insegna Cinema Fulgor viene rimossa dai nuovi proprietari e viene donata al Museo Storico dei Pompieri e della Croce Rossa Italiana che le dà degna collocazione a fianco dell’altra scritta Cinema Impero che fanno da degna cornice alla scenografia che ricorda i bombardamenti alleati degli Angloamericani nel porto di Manfredonia del 21 settembre 1943.
Direzione scientifica del Museo Storico dei Pompieri e della Croce Rossa Italiana
Il cinema Fulgor
Il portone sprangato mi impediva di guardare oltre nel vecchio giardino abbandonato, ma mi sembrava di sentire ancora il profumo della pianta di limonetto (lemon verbena) che mia nonna Nunzia aveva piantato proprio davanti all’ingresso e che lei chiamava in dialetto “bellgioven”. Da una fessura intravidi il pozzo, ormai ricoperto di rovi.
– Fai piano altrimenti i pesci rossi scappano e non li vedi più.- Mario mi strapazzava sempre, ma mi portava spesso con lui a pesca di ricci e di cozze in un posto da sogno chiamato “all’acqua di Cristo”.
Lui in realtà era mio zio, il fratello più piccolo di mia madre, quello che mia nonna ebbe in età già avanzata e che si era dovuta tirare su da sola essendo rimasta vedova di nonno Romolo, quando Mario aveva pochi anni. Con molti sacrifici avrebbe fatto studiare quell’ultimo figlio cresciuto senza padre: diploma di ragioneria per un destino diverso.
Mario aveva chiamato Lorenzo, Lorenzino, Renzo e Renzetto i quattro pesci rossi, vinti nei tiri a segno. Giostre, autoscontro e giochi vari di abilità arrivavano puntuali nei giorni di festa del paese. Qualche volta arrivava anche il circo.
– Non trovo più Nino! –
Era il mio gattino nero
– Fanno entrare gratis quelli che portano mici e cagnetti in pasto alle belve del circo.
Mario sapeva di darmi un grande dolore. Io avevo 7 anni, lui 14, si divertiva a tiranneggiarmi così. Ricordo che quella volta Mario andò al circo…
Nel giardino si aprivano le uscite di sicurezza del cinema Fulgor. Tutta la mia famiglia gestiva la sala cinematografica, aperta solo d’inverno. D’estate la programmazione si spostava nell’attigua sala all’aperto: il Cinema Arena Impero. Il giardino di mia nonna divideva con un alto muro il cinema Fulgor dalla sala estiva. Nel giardino mi divertivo ad ambientare le mie storie fantastiche: facevo rivivere lì le immagini dei film che ogni giorno, sgattaiolando dalle porte semichiuse delle uscite di sicurezza, guardavo fino a quando mia madre mi trovava raggomitolata su una sedia, addormentata: Marcellino pane e vino, La maschera di ferro, Totò miseria e nobiltà, Carosello napoletano, i western americani, quelli in cui i cattivi erano ancora gli indiani e i buoni arrivavano sempre in tempo, i drammoni italiani, in cui le donne che avevano esperienze sessuali fuori dal matrimonio facevano sempre una brutta fine…( non capivo allora perché alcune scene di Riso amaro con Silvana Mangano e Vittorio Gassman venivano oscurate…) e poi la commedia dei poveri, ma belli. Il coinvolgimento del pubblico era totale: risate, ma anche fischi, improperi contro il traditore di turno. Applausi di soddisfazione quando con il buon Amedeo Nazzari trionfava la verità e la giustizia… I miei divi preferiti protagonisti di ogni mia storia fantastica erano il cantante Giacomo Rondinella e la mitica Silvana Pampanini. Quando zio Angelo si sposò e venne assunto come vigile urbano, fu proprio Mario a sostituirlo nello stanzino della proiezione, qualche volta lo aiutavo, al mattino quando non ero a scuola, a incollare le pellicole che si rompevano. Quelle scene tagliate provocavano il dissenso sonoro degli spettatori. Mia nonna vendeva le bibite, mia madre e mia zia Linda ripulivano la sala il mattino dopo. Tutta la mia vita ruotava attorno al cinema Fulgor, faticavo a distinguere la vita reale da quel mondo virtuale di celluloide. Mi identificavo sempre con tutti gli sfigati perseguitati, traditi dai cattivi di turno, invidiosi, gelosi della bellezza, della bontà del protagonista o della protagonista dei film. Alla fine però trionfava sempre il bene e questo mi rassicurava.
I grandi manifesti e le locandine ora ammiccanti, ora patetiche, ora divertenti mi affascinavano e restavo ore ad osservarli, a leggere i nomi degli attori e delle attrici. Poi arrivarono quelle strane parole da decifrare: “cinemascope” “technicolor”.
Mia zia Linda riproduceva i passi di danza visti al cinema e io la imitavo. Spesso nel “lessico familiare” risuonavano le battute di Totò o di Alberto Sordi, e se ne imitavano i gesti un po’ impertinenti.
Ora un grosso topo di fogna sembrava l’unico abitante a guardia della casa, per il resto desolatamente abbandonata.
– Mamma andiamo, qui è tutto in rovina. Mi avviai, volgendo ancora una volta indietro il capo per un ultimo saluto.
Angelica Lubrano
Il Cinema Fulgor fu gestito dal 1947 agli anni ’60 dalla famiglia di mio nonno Romolo Carbone. Tutto il caseggiato contenente le due sale cinematografiche apparteneva al mio bisnonno, padre di Nonna Nunzia, Angelantonio Catalano le cui iniziali, A C, troneggiano ancora nel ferro battuto sopra il portono d’ingresso fra le due sale cinematografiche.