Roger, monologo di Umberto Marino interpretato da un fantastico Emilio Solfrizzi, sancisce la fine della stagione di prosa 2018/19 del Teatro Comunale Lucio Dalla. Andato in scena lo scorso 21 marzo registrando il sold out, Roger mette inscena una partita di tennis immaginaria tra Solfrizzi, ossia il “Numero 2” e il “Numero 1”, campione misterioso che non si presenterà mai a quella partita. Anche se non ci sarà mai una partita effettiva, Solfrizzi prevede e descrive minuziosamente come si svolgerebbe quel match, tra dritti, rovesci, punti impossibili, corse, diagonali, rituali da tennista e sudore, tanto sudore. Un sudore e un’umanità che sono peculiarità solo del Numero 2, che corre, si dimena, si arrabbia, corre e infine si rassegna, il tutto in modo brillantemente divertente ed autoironico. Fino a quando, verso la fine del match, persino il Numero 1 comincia a sudare, dimostrando un barlume di umanità. Il monologo è un susseguirsi di invidia, di amarezza, di un senso di inferiorità nei confronti di quel Numero 1 che sembra avere la vittoria in tasca già dal primissimo minuto. Dai continui indizi e riferimenti (e dal titolo stesso dello spettacolo teatrale) si deduce che il Numero 1 sia l’imbattibile Roger Federer, campione leggendario del tennis, emblema di precisione, grazia ed eleganza. Tuttavia, quando, negli ultimissimi minuti dello spettacolo, il Numero 2 chiama il suo avversario “Dio”, le certezze crollano e ci si domanda se il monologo sia una partita tra il fragile, vulnerabile, impreciso uomo e l’impeccabile, elegante, talentuoso Dio. Oppure si tratta di quel divino Roger Federer contro il quale qualsiasi altro tennista si sente quasi sconfitto in partenza? O forse, in fondo, nessuna delle due opzioni esclude l’altra.
Giuliana Scaramuzzi