Lo scorso 9 febbraio al Teatro Comunale “Lucio Dalla” di Manfredonia è tornato per la lettura/ spettacolo del suo testo “Farsi Luogo” il regista e drammaturgo di fama internazionale Marco Martinelli, fondatore insieme a sua moglie, Ermanna Montanari del Teatro delle Albe, Compagnia di Ravenna. Martinelli è stato vincitore per ben quattro volte del premio Ubu (regia, drammaturgia, pedagogia: 1996, 2007, 2012, 2013), del premio Hystrio “alla regia” (1999), del premio Mess di Sarajevo (miglior regia) e del “premio alla carriera” assegnato nel 2009 dal Festival Journées Théatrales de Carthage.
Alle ore 18 vi è stato un incontro con i ragazzi dell’alternanza scuola- lavoro del Liceo Artistico e con i partecipanti al Progetto “Professione Pubblico”, iniziativa ideata da Bottega degli Apocrifi nel 2014 che “nasce per regalare ad alcuni spettatori un punto di vista privilegiato sul teatro e sulla creazione artistica”.
Il drammaturgo in questa occasione ha narrato con semplicità e umiltà del suo quarantennale percorso artistico nell’ambito teatrale che lo ha condotto cinque anni fa alla scrittura del testo/ spettacolo “Farsi luogo”, nel quale in 101 movimenti scandisce il ruolo pedagogico, sociale, politico ed economico dell’essere teatro, più che del “fare” teatro. Martinelli infatti considera gli spettacoli più che “una messa in scena, una messa in vita”. Per il regista il teatro è un rito per comprendere la Bellezza che si instaura tra attore e spettatore, una Bellezza capace di abbattere ogni forma di muro, reale o figurato, perché essa è ovunque. E’ possibile percepirla e praticarla a Ravenna, a Scampia, a Manfredonia, a New York, a Nairobi, solo alcuni dei luoghi che il drammaturgo ha abitato. A Kibera, in Africa, i 150 ragazzi partecipanti al laboratorio hanno fatto comprendere a Martinelli che La Divina Commedia di Dante racconti ancora della nostra vita, delle nostre paure più profonde, di come per arrivare alla luce bisogni prima passare per l’Inferno. Del resto, per utilizzare un’ espressione moderna, lo stesso Dante “potrebbe essere considerato un profugo”-continua Martinelli.
Il Teatro fa propria perciò, come dimostra il percorso artistico del regista, l’arte dell’errare, dell’incontro, del dialogo, di quello che il drammaturgo e tanti pedagogisti prima di lui, definiscono “meticciato” che non fa altro che divenire, prosegue ancora, “drammaturgia della vita, della tessitura paziente, dell’ago e del filo”.
Alle ore 21 ha avuto inizio la lettura del testo che più che uno spettacolo potremmo considerare un rito, “un incontro di anime” come ha suggerito la drammaturga della Bottega degli Apocrifi, Stefania Marrone, riunite intorno al corifeo, divenendo coro, sul palco, sullo stesso palco calcato dagli attori, proprio per rompere quei rigidi confini di cui si parlava poc’anzi, quelle austere divisioni tra interpreti e spettatori, recuperando in parte il Teatro delle origini, quello greco che si celebrava nelle piazze. Celebrare perché il Teatro per i greci era sacro, quasi quanto gli dei, del resto gli spettacoli erano organizzati per quell’unico “dio sanguinante” che era Dioniso. Il primo “Farsi luogo” è stato rappresentato perciò dalla stretta sintonia instaurata con l’attore. Il pubblico è stato preso per mano e accompagnato in un’incalzante carellata di suggestioni, differenti punti di vista, confronti tra antichità e modernità. E’ evidente percepire come il regista riservi a tutte le figure che “abitano” il teatro, la stessa importanza, soffermandosi sui singoli volti, sui singoli desideri. Anzi è proprio a coloro che a volte vengono dimenticati: le maschere, i tecnici del suono e della luce, a coloro che curano gli aspetti burocratici ed amministrativi che riserva maggiore attenzione. Ai registi presuntuosi e spocchiosi suggerisce di recuperare quella metafora dell’asino di cui parlava Giordano Bruno, inteso come simbolo di conoscenza, come animale mosso dal desiderio di sapere, in quanto come a sua volta affermava Socrate “Il vero sapiente è colui che sa di non sapere”.
Infine “Farsi luogo” per divenire “lievito di cittadinanza”- suggerisce la Prof.ssa Rosa Porcu, ospite della serata, un lievito che “necessita però, di essere continuamente rimpastato”– aggiunge Stefania Marrone.
“Farsi luogo” potrebbe divenire perciò un manifesto, un inno, in grado di recuperare quella koinonìa, quel legame, quella partecipazione, quella convivenza pacifica, dialogica e sinfonica.
Angela la Torre