Giovedì 21 Novembre 2024

Il fine vita ed il ruolo del medico tra legalità, clinica e umanità

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Non c’è situazione che temiamo di più di quella del fine vita, nostro o di un nostro caro, non c’è cosa che abbiamo desiderato di più, quando la sorte ci ha messo di fronte alla malattia senza speranza di guarigione di un nostro amico, conoscente, parente, di trovare “il” medico che sapesse ascoltare le nostre ansie, placare quelle del malato con la sua sola presenza, che fosse insomma il terapeuta del corpo e dell’anima. Proprio queste tematiche sono state al centro dell’interessante incontro organizzato dall’AMMI, a Manfredonia, il 6 dicembre scorso, che, sviluppando il tema nazionale relativo al testamento biologico, si è soffermato sul ruolo del medico, non solo mero burocrate ma soprattutto assistente e sostegno del paziente. L’incontro si è svolto dando la parola a tre figure che hanno inteso sottolineare altrettanti aspetti di questa delicata tematica: legale, medico, umano.

L’esordio della quaestio, affidato al dr Luigi Mazzamurro, Specialista in Medicina Legale, ha posto al centro dell’excursus l’affermazione che “non soffrire è un diritto inalienabile dell’uomo, sottolineato anche da Papa Francesco, che parla di etica dell’accompagnamento del malato”, e, proprio in virtù di questo principio, il tema centrale è diventato quello del consenso, per cui spetta ad ogni persona poter scegliere del proprio fine vita, dare delle disposizioni anticipate di trattamento, che restano irrevocabili, se si conserva la piena facoltà di intendere e di volere, ed indicare un fiduciario, un personale, autentico alter ego , con il compito di interfacciarsi con il medico in caso di malattia del disponente. Le DAT, redatte per atto pubblico o per scrittura privata, possono essere disattese dal medico, in accordo con il fiduciario, solo se non più corrispondenti alle condizioni cliniche del paziente o se intervenute, nel frattempo, terapie innovative, non esistenti al tempo della sottoscrizione delle DAT, in grado di offrire palese miglioramento delle condizioni di vita. In questo delicato rapporto a due, medico-malato, o a  tre, medico-fiduciario-malato, partendo dall’assunto voluntas aegroti suprema est, si gioca tutto su alcuni punti chiave: la dignità del malato, a cui spetta il diritto di decidere; la consensualità della relazione medico-paziente-fiduciario; la chiarezza nelle comunicazioni intermedie e finali, tra fiduciario-medico e fiduciario-paziente; l’ equilibrio delle parti in causa, punto imprescindibile su cui si fonda la salvaguardia fisica e psicologica del malato e non solo.

A ribadire la dignità del malato, è intervenuto il dr Gianluca Ronga, medico di cure palliative, Coordinatore Regionale Fondazione ANT, che ha introdotto il concetto di eubiosia, la garanzia di una vita buona ai malati terminali di tumore. “Un medico che non cura il dolore, non è un medico”, ha esordito il dr Ronga, quasi una clausola necessaria al giuramento di Ippocrate, perché il dolore può essere la peggiore delle malattie, in grado di avvilire l’umano che è in noi e trascinare tutti, malato e vicini, in uno stato di avvilente frustrazione. Accogliendo la morte come il naturale culmine della vicenda biologica e accompagnando con le dovute attenzioni terapeutiche il paziente nelle fasi più delicate del male, al fine di risparmiargli la sofferenza, significa per il medico essere presenza-essenza, non presenza-comparsa, spettatrice muta di un dramma. E, ritornando sui punti della chiarezza e dell’equilibrio, il dr Ronga ha inteso rimarcare la necessità che il malato conosca esattamente la sua condizione e che possa scegliere consapevolmente il meglio per sé. Tacere sulla reale entità del male è solo un falso quanto illusorio tentativo di proteggere il malato, scegliendo noi per lui e, a volte, scegliendo male.

Toccanti, infine, le testimonianze della dr.ssa Giovanna Pompilio, coordinatore infermieristico UOC di Oncologia presso Casa Sollievo della Sofferenza, che hanno inteso ancora una volta rimarcare che i sanitari curano soprattutto l’anima e che in quelle realtà di una “terra di fuori”, quali sono e possono essere sentiti i reparti oncologici, proprio i malati, con il loro carico di umanità, riescano alla fine a curare i sani, insegnando loro il rispetto della dignità della persona, l’amore per la vita e l’accettazione della morte con dolcezza se c’è qualcuno a tenerti la mano. “Ecco quindi che, al di là di qualsiasi deontologia che lo imponga, il medico   naturalmente sa di essere non un burocrate, ma l’imprescindibile ago di un equilibrio delicato, quello della vita” ha concluso la Presidente dell’AMMI, M. Antonietta Totta, sancendo il termine di un incontro che ha aperto lunghi corridoi di riflessione.

(Carlotta  Fatone, addetto stampa AMMI)

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