Lo scorso 7 Settembre presso il Salone convegni situato all’interno del Castello Svevo-Angioino-Aragonese ha avuto luogo un convegno dal titolo “Il cibo ai tempi di Federico II e di suo figlio Manfredi”, organizzato dal Museo Archeologico di Manfredonia.
Il tema dell’evento è stato scelto in quanto il 2018 è stato definito l’Anno del cibo italiano.
La manifestazione ha avuto inizio con i saluti del Presidente dell’Agenzia del Turismo Saverio Mazzone, anche a nome del Sindaco Angelo Riccardi che non ha potuto presiedere all’incontro.
Tra i relatori che sono intervenuti ricordiamo: il Direttore del Museo Archeologico Nazionale di Manfredonia e del Parco Archeologico di Siponto Alfredo De Biase che ha introdotto l’argomento di discussione della serata con un discorso sul “cibo come identità culturale nel Medioevo”; Pasquale Favia, professore presso l’Università degli Studi di Foggia che ha approfondito gli aspetti inerenti all'”Archeologia e storia dell’alimentazione in età sveva” e Vincenzo Valenzano, ricercatore presso l’Università degli Studi di Foggia che si è occupato dell’ambito inerente a “La ceramica e l’alimentazione nella Capitanata bassomedievale”
Alfredo De Biase ha evidenziato attraverso un excursus storico l’importanza della dimensione del cibo nell’antichità, il quale veniva utilizzato anche per funzioni mediche e curative.
Galeno infatti aveva attribuito all’uomo le stesse caratteristiche dei quattro elementi della materia (acqua, aria, fuoco, terra) ai quali si aggiungevano anche caldo, freddo, secco e umido. Queste caratteristiche venivano utilizzate per definire il temperamento dell’individui. Perfino il cibo possedeva tali caratteristiche. Pertanto si tendeva ad assumere per contrasto un’alimentazione tale da cercare di curare i propri atteggiamenti negativi o che stridessero con la propria professione. Ad esempio la carne, considerata calda e umida, utile per alleviare i sintomi dell’impotenza era vietata a coloro che conducevano una vita monastica, prediligendo cibi freddi e secchi.
Le differenze sociali venivano anche ben marcate dall’abbondanza o dalla povertà dei banchetti. I nobili tendevano a mangiare tanto e bene per poter soddisfare al meglio il proprio ruolo.
Con Federico II, però, la situazione mutò. L’Imperatore infatti oltre a mangiare poco, ma bene, in occasione di un suo compleanno invitò tra i commensali anche cinquecento persone del popolo.
Il professore Pasquale Favia si è invece soffermato sulle consuetudini e sulle pratiche alimentari tipiche dell’età sveva, documentando la sua tesi sia con fonti scritte come ad esempio il “Liber Coquina” ed in particolare il filone del Mezzogiorno, che con fonti materiali, frutto dell’esperienza di scavi archeologici nel territorio di Capitanata.
Dal discorso è emerso che i cibi maggiormente più consumati durante il Medioevo erano ovini, caprini, bovini, suini, anatre, oche, gru, probabilmente pavoni, tartarughe, equini, cucinati con abbinamenti agrodolci, salse e brodi. Le salse più ricorrenti erano a base di cipolla, pepe o cavoli verdi. Nell’alimentazione diverse sono state le influenze arabe, ma anche europee. Oltre al consumo di carne vi era anche quello di pesce, in particolare anguille, polpi, seppie e gamberi, dei quali Federico II andava molto ghiotto, in particolare di quelli provenienti da Lesina. I cibi venivano cucinati attraverso l’ausilio di numerose spezie come ad esempio il pepe e lo zenzero. Vi è anche un richiamo alla torta amata da Re Manfredi a base di fegatini, o un’altra a base di fave. Si mangiavano cereali come orzo, miglio e grano. Per la preparazione del pane si utilizzavano vari cereali a seconda dell’estrazione sociale: il pane bianco era prerogativa dei nobili, poi vi era il pane con la combinazione di orzo e miglio, pane di fave per i periodi meno favorevoli e pane impastato con l’argilla per i periodi di maggiore carestia. Il latte veniva utilizzato principalmente per la preparazione di formaggio fresco e stagionato. Durante il pranzo si soleva bere acqua, acqua aromatizzata, vino e birra, anche se il vino risultava essere la bibita più prelibata e ricercata. A volte il vino veniva mischiato al miele, oppure alla vivanda si aggiungeva lo zucchero e lo si accompagnava mangiando dolcetti.
Il ricercatore Vincenzo Valenzano ha esposto infine le caratteristiche fondamentali delle stoviglie utilizzate durante i banchetti del periodo svevo-angioino. Nel corso del tempo le dimensioni delle ceramiche diminuiscono sempre di più, fino a diventare di uso comune il piatto singolo. Precedentemente i commensali tendevano a mangiare in un unico piatto, spesso decorato. I cibi si era soliti mangiarli con le mani, ad eccezione delle zuppe che si consumavano con i cucchiai e i coltelli per tagliare la carne. Solo in un secondo momento sono state ideate le forchette, forse con l’avvento della pasta, per lo più fettuccine e lasagne cotte in acqua. Vi erano delle ceramiche maggiormente più resistenti al fuoco e altre destinate al contenimento delle zuppe e delle spezie.
Alla conferenza è seguita una degustazione di cibi medievali come pane, olio e vino, alimenti intrisi secondo il pensiero comune di simbolismo cristiano, offerti dalla Tenuta Coppadoro sul Bastione dell’Annunziata del Castello.
Attraverso questo viaggio nel passato è stato possibile comprendere come il cibo rappresenti l’identità di un luogo, di un territorio, che vi sia un continuum tra passato e presente, almeno nella scelta dei prodotti, (a volte a mutare sono solo le procedure di preparazione), ma al tempo stesso la cucina diventa emblema di un atteggiamento cosmopolita, dal momento in cui attinge tradizioni e consuetudini tipiche ad esempio del mondo arabo, o internazionale in genere.
Angela la Torre