Martedì 19 Novembre 2024

Feudalesimo politico

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Finalmente, dopo un interminabile giro di walzer in cui abbiamo dato il meglio del nostro essere italiani, è partito il governo del cambiamento, del nuovo che avanza (al lettore l’interpretazione dell’avanzare come procedere o come ciò che resta). Riflettere in silenzio, fuori dalla mischia, dalle baruffe social, in cui spesso si commentano gli eventi in preda alla dipendenza da like, è condizione minima per cercare di capire questi tempi nuovi. Se la cosiddetta politica populista ha fatto breccia nei cuori di tanti, un motivo serio, al di là della sbandierata crisi delle ideologie, deve pur esserci: d’altronde non vi è stato né un golpe militare, né squadristi pronti ad “invitarci” ad esprimere il voto più utile. Le chiavi di lettura sono sicuramente plurime; proviamo a seguirne una. Se si analizza la “provincia profonda” nel meridione del nostro Paese, notiamo alcuni sommovimenti nel suo tradizionale impianto politico feudale. Qui da decenni troviamo al centro il politico, il signorotto del posto, con la sua corte caotica e rissosa, pronto, al di là degli obblighi minimi di sussistenza che deve fornire alla collettività, a premiare, in cambio della fedeltà, con regalie i suoi accoliti, i vari vassalli, valvassori, valvassini del territorio; e ad ignorare, o ridurre al silenzio, quanti si mostrino critici sul suo operare. Affinché questo sistema funzioni vi deve però essere un’ottima congiuntura economica unita ad uno stato di ignoranza diffusa: sapere del resto è prendere atto di sé, dei propri doveri, dei propri diritti. Le turbolenze di cui si parlava sono infatti da ricollegarsi proprio alla perdita di questi fattori. I più poveri, forti del loro potersi unire in massa, si stanno ribellando contro gli attuali signorotti non più in grado di foraggiarli adeguatamente. Gli esponenti della classe media (ossia dei mediamente istruiti, dei mediamente emancipati dal potere feudale, dei mediamente benestanti), desiderosi o di non cadere in una condizione di povertà o di elevarsi dalla loro medietà, pur tra mille titubanze, sono sempre più attratti dal cambiamento in corso. I membri della corte, e i vari vassalli, valvassori, valvassini, emigreranno (se non l’hanno già fatto) verso i nuovi dominus e da questi, dopo qualche ritrosia, saranno accettati: sono infatti pur sempre esperti nell’arte del governo e del mercanteggiamento! Il rischio all’orizzonte è che pertanto, aldilà di una superficiale riverniciatura, a livello locale la politica continui a funzionare con altri signorotti secondo le più consolidate metodologie feudali. Vero cambiamento vi sarà quando effettivamente il singolo non sarà più suddito di qualcuno ma cittadino, pronto a partecipare dal basso alle decisioni della collettività. Condizione questa realizzabile in seno ad una democrazia rappresentativa, fatta da politici onesti e competenti (che facciano politica non per lavoro ma con la professionalità propria di un lavoro, come i catechisti per capirci); piuttosto che su piattaforme digitali dove paradossalmente il singolo, che tra capo e collo riceve 57 pagine di contratto di governo da approvare senza troppe domande nel giro di poche ore, è sempre più prono al potere e all’arbitrio altrui.

Domenico Antonio Capone

 

Articolo presente in:
News · Piazza Duomo

Commenti

  • L’attenzione massima va rivolta al fattore “CAMBIAMO TUTTO PER POI NIENTE CAMBIA”.Il tempo e la politica lo hanno dimostrato(il gattopardo docet).

    mario 14/06/2018 11:22 Rispondi

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