Enza Armiento, La voce delle pietre, Edizioni Smasher, 2016
Enza Armiento insegna Lingua inglese in un liceo di Manfredonia, ma ha dentro di sé il demone della poesia e della scrittura. Un demone che la insegue sin da ragazza, quando, rimasta orfana della mamma, nella scrittura si rifugia per sottrarsi al dolore che l’ha resa adulta anzitempo. Ed è la sua storia di bambina felice, un po’ “masculona”, come usavano chiamare a Manfredonia le bimbe più vivaci, che Enza racconta nel suo romanzo La voce delle pietre. Dove le pietre del titolo rappresentano i limiti, i blocchi, che deve affrontare questa ragazzina sveglia, aperta alla vita con entusiasmo, prima di una svolta che ne cambierà il corso. La storia di Enza ci riporta in una Manfredonia degli anni ’60, quando per le strade si vedevano poche macchine, ma tanti carretti trainati da cavalli, o da persone, come il padre della nostra protagonista. Una città dove c’era chi, come l’orfana Chiarina, si guadagnava da vivere svuotando in mare i pitali delle case ancora senza rete fognaria. E dove le ragazze imparavano a ricamare e a cucire per prepararsi a divenire brave mogli. E ancora Enza racconta di Tuccillo, lo sciocco del paese che credeva di poter volare che tutti prendevano in giro.
Nonostante sia personalmente coinvolta, Enza ha uno sguardo obiettivo su tutta questa storia, anzi ci dà l’impressione di raccontarla dall’esterno, senza alcun coinvolgimento. Esempio lampante è la figura della mamma. Un figlio che perda la propria mamma prematuramente serba di lei un ricordo cristallizzato, ovvero tende a ricordare solo le cose positive e difficilmente porterà fuori la sua natura reale, umana. Enza non fa questo, al contrario ci presenta sua madre così com’era. Le sue lezioni di morale: “Gesù ti metterà il fuoco in bocca!”; la sua severità con una figlia troppo vivace, masculona, che amava correre per le strade e rompere i vetri dei vicini per vendetta. La sua freddezza, tipica dei genitori di una volta con “l’amore nel cuore e il veleno in bocca”, quel veleno che Enza avrebbe voluto si trasformasse in dolcezza, carezze e comprensione. Ma la mamma è sempre la mamma, e quando viene a mancare tutto il mondo dorato di un bambino, anche senza carezze, perde la sua luce. Enza si ritrova sola a gestire la casa, le sorelline piccole, la scuola… E qui la scuola, che il padre voleva abbandonasse, è un motivo di riscatto. È la scuola, infatti, nelle persone di docenti illuminati, che permette ad Enza di venire fuori dal baratro; è la scuola che le permette di non perdere completamente la sua infanzia, la sua giovinezza e, nonostante i tanti sacrifici, diventare insegnante.
In genere i romanzieri partono da una storia per poi camuffarla, avvertendo i lettori che i fatti e le persone del racconto sono puramente immaginari. Nella storia di Enza invece non c’è nulla di immaginario e casuale, anzi, le persone chiamate, invocate, perdute, hanno un nome che è il loro, e un merito che è quello di aver amato, ascoltato, protetto, una ragazzina vivace e combattiva.
Con il suo linguaggio poetico Enza ci ha donato una bellissima testimonianza di vita. Tutti gli studenti e i ragazzi dovrebbero leggerla, per comprendere la fortuna di poter vivere liberamente la loro giovinezza e di poter studiare per assicurarsi un futuro degno di essere vissuto.
Mariantonietta Di Sabato