Anche quest’anno è giunto il 1 maggio, festa dei lavoratori. Una data importante in cui nel passato i lavoratori e le lavoratrici festeggiavano i loro vincoli di solidarietà e riflettevano sulla condizione del lavoro. Una data in cui le grandi forze politiche e sindacali mettevano al centro la situazione del lavoro nel paese e nei territori. Una data in cui l’orgoglio dei lavoratori e della lavoratrici faceva ben sperare per il futuro.
Oggi, invece, la politica rifugge i problemi del lavoro e si affida fanaticamente alle presunte “leggi del mercato e della concorrenza”: chi è più forte deve sforzarsi di prevalere nella competizione e chi ha la colpa di essere più debole deve essere lasciato cinicamente indietro. Anche solo la vaga idea di rivendicare solidarietà e aiuto per i più deboli è un tabù, una colpa impronunciabile: “assistenzialismo!” gridano i cani da guardia deli neoliberismo. Nessuna voce si leva a difendere i più deboli, gli svantaggiati e gli sfruttati se non nei presidi di fabbrica, nelle lotte di base, nei movimenti costruiti dal basso.
Abbiamo voluto rompere questo silenzio con un’azione di protesta, abbiamo voluto denunciare il colpevole silenzio della politica sulla situazione del nostro territorio invadendo gli spazi elettorali: ai cartelloni con i volti noti dei candidati delle scorse elezioni abbiamo voluto contrapporre le sagome dei lavoratori dimenticati nell’ombra con le loro storie. Alle favole di chi ancora sostiene che questo modello economico possa ancora funzionare, magari “con piccoli correttivi” come la lotta agli immigrati, ai poveri o a chi si ribella, abbiamo voluto contrapporre le sofferenze di chi qui ed oggi chiede una società diversa. Hanno preso parola cuochi, camerieri, muratori, commesse, braccianti ed altri a cui ogni giorno si chiedono condizioni di lavoro disumane perché la società possa continuare a produrre ricchezza per pochi e miseria per tanti.
Nel nostro territorio, è risaputo, la disoccupazione dilaga incontrollata: se il tasso di disoccupazione pre-crisi si aggirava al 16,4% (più del doppio della media nazionale) su base provinciale e al 22,8% (più di tre volte la media nazionale) su base comunale, oggi il tasso di disoccupazione provinciale arriva al 39,3%(quasi quattro volte la media nazionale) e, anche non esiste un dato affidabile su base comunale, il disastro è ampiamente avvertibile nella vita quotidiana di tutti noi. Questa fortissima disoccupazione spinge i salari al ribasso, alimenta il lavoro nero: anche quando si è “abbastanza fortunati da lavorare” si guadagna poco, si deve rinunciare ai propri diritti, si devono scegliere lavori usuranti ed inferiori alle qualifiche dei propri titoli di studio o del proprio curriculum. Nel nostro territorio il 42,58% dei redditi dichiarati sono inferitori ai 10.000 euro annui, più di 4 cittadini su 10 sono cioè o sotto la soglia di povertà o poco al di sopra. Un vero e proprio grido viene poi dal mondo di chi, come noi, ha la “sfortuna” di essere giovane in questa terra, il mondo giovanile è stretto nella morsa asfittica di una disoccupazione del 58% (media pugliese nel 2017), dato a cui però mancano i tanti partiti per cercare lavoro altrove: famiglie spezzate, progetti di vita interrotti, pezzi di vita sociale, culturale e politica strappati alla nostra terra senza cui Manfredonia si sveglia ogni giorno più povera e triste.
Il nostro è un territorio lasciato indietro nella sua disperazione e nella sua povertà, un territorio lasciato indietro senza investimenti e senza progetti di sviluppo, un territorio abbandonato nel circolo vizioso che vede tanti e tante partire perché non c’è lavoro e la disoccupazione crescere per il calo dei consumi. Poco importa se periodicamente emergono dati e notizie sul disastro sociale che questa situazione sta generando: che si tratti di morti sul lavoro o di fatti di mafia, di crisi aziendali o di enormi ghetti nelle campagne la risposta della politica e della stampa è suonare le fanfare ed aspettare che la notizia scorra in basso nelle home dei giornali online, aspettare che i disperati si rassegnino a restare soli con i loro problemi ed ancora una volta senza risposte.
Se nutrissimo ancora un briciolo di fiducia nella classe politica che conosciamo fin troppo bene chiederemmo a senatori, deputati, consiglieri regionali ed amministratori cosa pensano di fare perché il governo (chissà quale!) si occupi di sostenere un modello di sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile, ma sarebbe, ancora una volta, chiedere risposte a chi è impegnatissimo a non darle.
Cari Manfredoniani e care manfredoniane, un’altra campagna elettorale è finita, sfruttamento e disoccupazione sono ancora lì: lottiamo dal basso, denunciamo questa situazione, costruiamo cambiamento o nulla cambierà.