Perché mai si commette un atto di violenza? Le cause, sicuramente plurime, possono essere ricondotte a tre motivazioni di base: perché l’aggressore non è soggetto in grado di intendere e di volere (sempre o nel momento specifico della sua aggressione); perché dinamiche interne fra l’aggressore e l’aggredito spingono il primo ad agire ai danni del secondo; oppure perché l’ambiente, il contesto determina nell’aggressore la voglia di colpire un individuo generico che incarni però, in un certo modo, le cause del proprio malessere. Queste motivazioni, naturalmente, sono spesso legate fra loro e chiamano in causa, come si può ben capire, l’intera comunità in cui si manifesta qualsivoglia atto di violenza. Anche l’aggressione subita alcuni giorni fa dall’assessore Giuseppe La Torre per mano di Antonio La Selva, trentenne disoccupato, non si sottrae alla logica fin qui presentata. Se l’aggressore, come pare, non è un folle, le chiavi di lettura, leggermente tratteggiate nei comunicati di solidarietà, si riducono a due. O l’aggressore, come sostenuto da alcuni ma smentito categoricamente da La Torre, ha così agito perché ha visto sfumare la promessa di un lavoro fattagli in passato dall’assessore; oppure perché ha voluto colpire un uomo che rappresenti quelle istituzioni cittadine, pressoché uniche responsabili nella sua mente (ma non solo nella sua mente) delle sue difficoltà, della mancanza di lavoro. E La Torre, con il suo essere dentro Palazzo San Domenico dal 2000, ben rispondeva all’immagine di colpevole da lui cercata. In entrambi i casi siamo dinanzi ad un dramma non individuale ma collettivo, essendo chiamato in causa, in vario modo, quel lavoro che dovrebbe permettere l’emancipazione economica del singolo, anche in vista della crescita (non solo economica) dell’intera comunità. Se l’aggressore è stato spinto ad agire con violenza per via di una non rispettata promessa di lavoro da parte di un politico assistiamo infatti al dramma di una democrazia malata in cui l’elezione di un candidato si motiva non nella speranza che questi possa creare o favorire occupazione per la comunità, ma solo nel sogno di una “sistemazione” o di un favore personale, o per un membro della propria famiglia. Se, invece, è stato il generale contesto di crisi a muoverlo nelle sue azioni assistiamo al dramma di una comunità segnata ormai cronicamente da una disoccupazione a cui le istituzioni cittadine (ma non solo loro) non riescono a dare una risposta. A tal punto da spingere un uomo a rischiare il carcere e rendere quindi ancor più difficile il futuro suo e della sua famiglia. Nessuno, naturalmente, vuole giustificare qualsivoglia atto di violenza ma se dovesse essere quest’ultima ipotesi la causa di quanto accaduto occorre compiere un maggior sforzo d’analisi: non si sbagliava ne“La ribellione delle masse” il filosofo Ortega y Gasset quando sosteneva che la violenza, usata in passato come ultima ratio da parte di chi aveva esaurito tutti gli altri motivi per difendere la ragione e la giustizia, è ormai diventata prima ratio. Norma che propone l’annullamento di ogni norma.
Domenico Antonio Capone