Nella democrazia rappresentativa il singolo cittadino esercita indirettamente il proprio potere delegandolo ad un suo rappresentante nelle istituzioni, persona verso cui nutre una fiducia particolare. In passato questa fiducia era quasi sempre unita ad un certo sentimento, un certo atto di fede: la prima repubblica si è del resto retta sulla dialettica fra varie chiese-partito, ognuna delle quali caratterizzata da proprie feste e da un più o meno stabile bacino di fedeli elettori. Attualmente tale binomio fede-fiducia è assente ed anzi quella che alcuni considerano ancora come fede politica è qualcosa di antitetico al significato cristiano di fede, avendo spesso assunto i connotati esclusivi di rito, di pratiche devozionali vuote di significato, di valori. Certo nei partiti vi sono ancora dei fedeli, vi sono ancora sacerdoti e chierichetti (indispensabili nella pratica politica ma sempre meno coram populo, di fronte al popolo nel vivere quotidiano) ma manca in loro forza attrattiva, capacità di proselitismo, specie verso i più giovani.
Al di là di alcune feste comandate, come le tornate elettorali, le sedi dei partiti sono sempre più simili a polverose cattedrali che a vivaci oratori, e l’opzione politica, il voto, sempre meno espressione di un’idea collettiva e sociale realmente sentita ma sempre più strumento per ottenere in cambio (giurando sul santino del candidato scelto) qualcosa di materiale e immediato. Si badi bene: non è sbagliato chiedere obiettivi e soluzioni concrete, non si vuole cadere nell’utopia. Semplicemente, in un clima di forte atomizzazione sociale, si è spinti, specie sotto elezioni, ad avere solo fiducia in qualcuno (chiunque esso sia, l’importante è che faccia ottenere quanto desiderato anche in barba ai diritti altrui) piuttosto che fede in qualcosa, in un’idea politica. Da qui la differenza fra fede cristiana ed attuale (non)fede politica: nella prima, in virtù di una dimensione comunitaria, collettiva (religio come il tener insieme ma anche l’aver cura), l’atto di fede oltre che alla conquista del paradiso è finalizzato ad una crescita spirituale nel nome ad esempio dell’amare il prossimo tuo come te stesso; nella seconda attualmente assistiamo al regno, terreno, dell’individualità (dai singoli elettori questuanti ai candidati incarnazione visiva di ciò che possono offrire, più che di un’idea di politica). Con la conseguenza che, se viene a mancare la fiducia data, senza nessuna difficoltà si passerà ad un’altra chiesa, ad un altro officiante, spesso indipendentemente dal culto che lì si professa. La cosa che più preoccupa non è allora la mancanza di fedeltà cieca ad un partito, estremismo mentale che in passato portava nonostante tutto e tutti a turarsi il naso e non vedere quanto di sbagliato vi fosse nella politica e nei partiti, quanto la mancanza di ideali, di atti di fede. Di una fede che ti interroghi e ti spinga a cambiare te e il mondo che ti circonda. Dinanzi a questa realtà a volte viene da pensare che la speranza non sia l’ultima a morire ma la prima a mancare. Amen.
Domenico Antonio Capone