Fraterna amicizia, comunanza di origini e di poesia nei dialetti del nostro Gargano, predilezione della mia/nostra Ischitella (Si, ià ièsse de Schîtèlle / se ne nzó, ne m’u dîcîte / pe na piccula buscièlle / déte a n’ôme tèrre e vîte – Si, devo essere di Ischitella / se non lo sono, non me lo dite / con una piccola bugia / date a un uomo terra e vita)… Rinuncerò ad ogni rievocazione, perché intendo ridare la parola a Franco che, con grande lucidità e presaga ispirazione così si esprimeva (niente è più inedito dell’edito) nella Premessa del suo Nvrá vigghje e sunne che ho avuto il privilegio di editare nel 2009: “Sèmbe cchiù chiére / ce fé u sune da cambéne / e je tènghe angôre / tanda côse pi méne (Sempre più chiaro / si fa il suono della campana / e io ho ancora / tante cose per le mani.) Questo mio pensiero, formulato una sera di qualche tempo fa (udii distintamente, portati dal vento, i flebili rintocchi di una chiesetta lontana), denota tutta l’ansia, la preoccupazione, il timore di chi come me ha tante “cose” da fare e non molto tempo per realizzarle. Da qui il dilemma: fermarsi e portare a termine le “cose” iniziate o andare avanti e lasciare per strada ai quattro venti parte della propria esistenza? O peggio ancora, lasciarla finire nel “frinire” narcisista e cervellotico di qualche “alloro” distratto che ne travisi, sebbene appassionatamente, la sua semplice, quasi banale, natura? Tra queste due strade ne ho scelta una terza: “temporeggiare”, ossia rallentare il passo e ogni tanto “appapagnarme” (assopirmi) – da qui il titolo Nvrá vigghje e sunne – per permettere al passato di raggiungermi, per poi donarmi interamente in un sublime abbraccio alla morte e con lei completarmi. Non solo, ma anche, nel frattempo cercare un amante degno della mia giovane amata quando sarò forse un ricordo. Amata che per troppo amore ho più volte ripudiata e sempre invocata. Amata che mi fa supplicare “bara” e “letto di pietra”, e mi dice di avere ancora un po’ di pazienza. Amore uno e trino – vita, poesia, morte – che vorrei stringere in un unico abbraccio nel mio ultimo respiro”.
Vincenzo Luciani
Giornalista e poeta, Roma
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