Domenica 22 Dicembre 2024

Il ’68 a Manfredonia: la grande manifestazione giovanile contro l’occupazione sovietica in Cecoslovacchia (di S. Cavicchia)

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La manifestazione fu grandiosa, credo la più grande manifestazione “politica” di giovani che si sia mai fatta a Manfredonia. Il corteo percorse Corso Manfredi e lo riempì in lunghezza e in larghezza. Ma noi giovani iscritti e/o vicini al PCI, noi, in quanto gruppo organizzato e collettivo, non ci partecipammo, anche se singolarmente qualcuno, pochi o tanti non ricordo, lo fece. Cosa successe?

Qualche giorno prima c’era stato un confronto molto forte con Michele Magno, a casa sua, tra il sottoscritto, Cavicchia Silvio, Italo Magno e, mi pare, Paolo Cascavilla.

Michele Magno ci spiegò che, pur appoggiando personalmente, il senso e lo spirito del nostro impegno e dell’iniziativa promossa, non poteva condividere ed approvare che fosse espresso pubblicamente un così evidente, plateale e dirompente dissenso da parte di giovani comunisti e di sinistra nei confronti dell’Unione Sovietica, poiché i compagni del PCI locale, a stragrande maggioranza erano contrari. Ciò anche se la Primavera cecoslovacca poteva contare sull’appoggio del più forte Partito Comunista d’Occidente, quello italiano, come espresso chiaramente da Pietro Ingrao nel suo intervento alla Camera dei deputati nella seduta del 29 agosto del 1968 su Comunicazioni del governo: Sugli avvenimenti in Cecoslovacchia: “Non solo non abbiamo taciuto, ma abbiamo agito e cercato di pesare; e di fronte all’intervento militare dei cinque paesi del patto di Varsavia abbiamo espresso il nostro grave dissenso e la nostra riprovazione, non solo perché dinanzi a quegli eventi ogni forza politica era tenuta a dimostrare chiarezza di giudizio e assunzione di responsabilità, ma perché abbiamo sperato che la nostra voce, unita a quella di altri partiti comunisti, potesse recare un aiuto e impedire il peggio” e continuava: “Esprimiamo qui la nostra solidarietà ad essi e insieme l’augurio, la speranza, l’esigenza che rapidamente l’attuale pesante situazione possa essere totalmente superata e si giunga al ritiro delle truppe dei cinque paesi e la Cecoslovacchia possa continuare il suo lavoro, il suo impegno per il socialismo, per il progresso, per la pace”. Lui Michele Magno, come dirigente politico non poteva acconsentire alla rottura dell’unità del partito, specialmente a livello locale. L’unità del partito era cosa sacra che veniva prima e sopra ad ogni cosa e, perciò, anche se lacerato e  molto combattuto molto dentro di sé, sentiva il dovere di chiederci di non partecipare alla manifestazione; anche se giovani, noi eravamo obiettivamente una guida, un’espressione, una speranza per questo partito e per la sinistra locale, non potevamo dare adito ed occasione di distruggere questa unità, questa storia, questa memoria per cui tanto e tanti avevano lottato. Ci invitò a riflettere, a ragionare razionalmente sul fatto che “la politica fosse l’arte del possibile”, a prendere atto che indipendentemente dalla nostra volontà, vista la situazione dentro e fuori il PCI, saremmo stati oggettivamente un’occasione di divisione e di possibile strumentalizzazione contro il PCI. Dovevamo, pertanto, valutare l’insieme ed eventualmente rinunciare a partecipare alla manifestazione.

 

I GIOVANI DI SINISTRA, I CONFLITTI INTERIORI E LA DIVISIONE NEL PCI LOCALE

 

La discussione, fu franca, aperta, combattuta. Noi cercavamo di controbattere che, proprio in base al suo ragionamento, era più che mai importante salvaguardare l’unità dei giovani che si era per la prima volta determinata a Manfredonia e che, proprio la nostra presenza, sinistra giovanile, garantiva un grande valore (non strumentale) alla manifestazione ed apriva basi nuove per una allargamento della partecipazione dei giovani alla politica. Come gruppo giovanile, comunista e di sinistra, avevamo bisogno di autonomia e libertà d’azione, c’eravamo messi in gioco in quanto tali ed il PCI, quindi, non correva alcun rischio poiché poteva tranquillamente dissociarsi da noi, se tale era la sua convinzione. Addirittura la manifestazione poteva essere l’occasione di un rinnovamento all’interno del PCI, di una apertura verso l’esterno e di un suo rafforzamento, poiché tanti giovani, nuovi alla politica, avrebbero potuto avvicinarsi al partito ed alla sinistra.

  1. Magno fu irremovibile nelle sue analisi; pur dicendoci che condivideva molte nostre considerazioni e che anche lui era combattuto internamente, ci invitò ad una riflessione profonda per capire le sue ragioni e quelle del PCI locale, evitando di partecipare alla manifestazione per il valore quasi assoluto e sacro dell’unità del partito.

Per noi, per me M. Magno era un mito, era più che un padre politico, era il riferimento amicale e politico di mia madre, era un uomo straordinario, a capo di un partito, e prima di un sindacato, che aveva sacrificato la propria famiglia, possibili carriere professionali, ed ogni cosa per la politica, per la difesa dei più deboli: come potevo (e/o potevamo) deluderlo?! Con chiarezza voglio sottolineare che non ci fu nessuno tipo di imposizione, ma confronto reciproco forte, intenso, passionale. Questi sono i miei ricordi da confrontare con gli altri presenti per avere valore di documentazione storica.

Fu un dramma personale immenso, nacque un conflitto interiore ingestibile per me, per un giovane di 22 anni, nuovo, totalmente nuovo al “realismo” della politica. Lo stesso sentimento credo fosse vissuto da Italo e Paolo, anche se con modalità diverse ed uguali, visto la diversità delle loro condizioni e del loro rapporto col PCI. Forse Italo, figlio di M. Magno, viveva un sentimento più lacerante del mio.

 

IL RUOLO DEL PCI: TRA FORMAZIONE POLITICA PERSONALE E COMPORTAMENTO COLLETTIVO

 

Non ero iscritto al PCI, non sono mai stato iscritto a nessun partito e, oggi col senno di poi, ripensandoci, questa mia scelta fu forse dovuta anche a quella esperienza. Per chiarezza preciso che non ero iscritto al PCI, anche se ne sono stato di fatto un militante pieno a tutti gli effetti, partecipando a varie iniziative del partito a Manfredonia, (ho fatto anche un intervento pubblico in piazza in un comizio di Michele Magno); ma soprattutto a Cantù, dove ho vissuto dal 1972 al 1985. Ho amato il PCI con tutti i limiti e pecche, c’è l’ho nel cuore ancora, tanto che, nel pensarlo e nel riflettere sul suo senso e ruolo storico, ne rimpiango il valore oggettivo e soggettivo, tanto più fondamentale nella mia formazione politica. Sono stato un militante e dirigente del PCI a Cantù, pur senza tessera, come un compagno di strada, partecipando con impegno a tutta la vita del partito, a riunioni, comizi, distribuzione dell’Unità la domenica, congressi cittadini, elaborazioni programmatiche, campagne elettorali, prese di posizione pubbliche su questioni cittadine. Tanto da aver svolto il ruolo di consigliere comunale dal 1975 al 1985, dopo essere stato eletto come indipendente nella lista PCI e, poi, anche assessore all’economia, all’artigianato, commercio ed decentramento urbano. Sono stato di fatto militante e dirigente del PCI a Cantù dove ho trovato una grande apertura verso movimenti ed organizzazioni politiche diverse e capacità di accoglienza anche amicale verso noi meridionali, portatori, comunque, di esigenze e visioni diverse dal mondo locale. Pur essendo il PCI elettoralmente molto debole nell’area del Canturino e della Brianza, dove storicamente la DC era costantemente oltre 60%, ho vissuto una esperienza politica, esaltante e straordinaria, centrale e fondamentale per la mia formazione culturale, etica e politica, per la mia formazione come cittadino e come uomo. Tutto ciò anche se ero e sono strutturalmente un sessantottino, attento ai movimenti ed a tutto ciò che si muove nella società civile.

 

IL PCI MANFREDONIANO DI ALLORA FU RESTIO A QUESTO PROCESSO UNITARIO

 

Certo il PCI manfredoniano di allora fu restio a riconoscere e dare valore a questo processo unitario espresso dai giovani con la grande manifestazione cittadina contro l’occupazione sovietica in Cecoslovacchia; così come è altrettanto certo che la DC, con qualche esponente, tentò di strumentalizzare quella iniziativa per evidenziare solo le pecche del campo avverso. Ma sicuramente nell’insieme quella manifestazione (ed il prima ed il dopo) fu il segnale che era ed è possibile un processo unitario tra forze e persone diverse, purché si ritrovino ideali e valori condivisi. Con senno di poi, si può dire che non aver partecipato alla manifestazione, ufficialmente come gruppo organizzato di giovani, iscritti e/o vicini al PCI, non ridusse  né ridimensionò le critiche di buona parte del PCI manfredoniano, data la loro non comprensione del senso della manifestazione; anche perché la conflittualità era dentro al PCI ad ogni livello, locale, provinciale e nazionale, a prescindere da noi giovani. La divisione aveva ragioni politiche e generali e le scissioni erano già in atto, con la fuoriuscita di tanti militanti, sia pure in modo isolato e frammentato. La manifestazione di giovani a Manfredonia, insieme a tutte quelle che si realizzarono in quasi tutti i comuni d’Italia, fu, comunque, di fatto anche un modo per stimolare e/o costringere il PCI ad un profondo rinnovamento, con un riesame della sua storia, della collocazione internazionale, e, soprattutto, del suo legame anomalo con l’Unione Sovietica. In realtà noi giovani più di sinistra di Manfredonia eravamo poca cosa, piume nel vento del cambiamento e della conflittualità interna al PCI; perciò non fummo in realtà né causa né occasione di scissione; forse costringemmo semplicemente ciascun comunista locale a fare i conti con se stesso, la propria coscienza e visione politica. La storia ovviamente camminò autonomamente, andando oltre noi stessi. Visioni diverse nel e del PCI, locale e nazionale, si espressero e continuarono per lungo tempo su tante altre questioni, anche come riflesso delle conflittualità sociali  e politiche in Italia e nel mondo, finché si produsse qualche anno dopo una scissione formale, pubblica, ufficiale e nazionale, che poi si ripercorse in ogni sezione locale. Infatti anche a Manfredonia poi ci fu la scissione con la nascita della sezione del Partito di Rifondazione Comunista intitolata ad Andrea Pastore, storico dirigente manfredoniano del PCI, tuttora operante.

 

LA MANIFESTAZIONE ERA OGGETTIVAMENTE UN PUNTO DI FORZA PER FAR CRESCERE L’IMPEGNO IN TUTTI NOI GIOVANI

Non ero, quindi, iscritto al PCI di Manfredonia, ma capivo le ragioni del suo più alto dirigente, Michele Magno. Capivo che correvamo il rischio di mettere in discussione un patrimonio ed una storia di lotta contro le disuguaglianze, non potevamo essere l’occasione, più o meno strumentale, più o meno diretta di una lacerazione e possibile scissione a livello locale del PCI, non potevamo assumerci questa responsabilità, non la volevamo né la desideravamo. Dovevamo essere giovani dirigenti e, quindi, responsabili di sé e degli altri; non guardare e seguire solo le proprie personali spinte ideali, ma tenere conto degli interessi generali di un partito, delle sue masse e delle sue basi popolari. Chiunque lo poteva fare, ma non noi, di fatto dirigenti della gioventù, comunista e di sinistra. Questo fu sostanzialmente il dialogo e conflitto interiore vissuto. Il corteo percorse Corso Manfredi e lo riempì in lunghezza e in larghezza. Non riuscii a non camminarci accanto per un lungo tratto, nel lato più esterno del marciapiede, riservato, quasi nascosto. Piangendo.

Nei giorni successivi la tristezza lasciò il posto alla riflessione. La manifestazione era comunque un punto di forza oggettivo per far crescere l’impegno in tutti noi giovani. Rappresentava la sintesi del grande lavoro di confronto, scontro, analisi, riflessioni di giorni e settimane fatte presso la sede  FUCI, collocata allora in un locale di Piazzetta Mercato, soprattutto da giovani comunisti e democristiani di Manfredonia, ed anche da liberali, socialisti, semplici studenti universitari “sessantottini” e di nessun orientamento politico, tutti spinti solo dal desiderio di testimoniare solidarietà a persone e popoli oppressi.

Dimostrava che un nuovo modo di fare politica per i giovani era possibile, come effettivamente avvenne con la nascita dell’associazione giovanile Gruppo d’Impegno “Antonio Gramsci”, di cui si parlerà nel prossimo e conclusivo articolo.

 

Fine terza parte

 

Silvio Cavicchia

 

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