Lo scorso 23 maggio abbiamo commemorato il 25esimo anniversario della strage di Capaci. Da quel lontano 1992 molte cose sono cambiate in termini di lotta alla Mafia: vi è una migliore conoscenza del fenomeno, a partire dalle scuole elementari; un miglior coordinamento fra le varie realtà dell’associazionismo; una più chiara presa di posizione dello Stato. Eppure dando una rapida occhiata ai social, ai tanti post “copiaeincollati” creati per l’occasione, notiamo una certa superiorità morale in molti di noi che pensano di non essere toccati da atteggiamenti mafiosi, manifestando ritualisticamente il loro “antimafismo” nell’annuale commemorazione succitata. Alla stregua di quanti pensano di essere buoni cristiani partecipando solo alle “feste comandate”. Proviamo per il bene di tutti ad analizzare, aldilà di alcuni stereotipi favoriti dalle recenti produzioni cinematografiche sul tema, il significato storico di Mafia, per poter poi distinguere fra Mafia mafiosa e Mafia civile. Ciò che colpisce osservando i primi moderni rapporti sul fenomeno mafioso, di metà Ottocento, è la duplicità del suo agire a partire da una causa unitaria: la mancata presenza statale nei territori colpiti. Dinanzi infatti all’assenza di una forte e riconosciuta realtà statale, in grado di esercitare il monopolio della violenza, fu facile l’inserimento, e se vogliamo l’accettazione, dei mafiosi, pronti a controllare le masse contadine per conto dei latifondisti ma anche a porre sotto scacco questi coordinando le rivolte degli stessi braccianti. Una Mafia dunque che opprime ma che può al tempo stesso dare tutto ciò che lo Stato non offre. Questa duplicità permette di capire la differenza fra Mafia mafiosa e Mafia civile: se la prima riguarda un numero finito di persone, coincidendo con l’organizzazione criminale in senso stretto, la seconda è espressione di un atteggiamento, di un humus che potenzialmente coinvolge l’intera totalità. Ogniqualvolta che per poter vincere un concorso o per poter accedere con più rapidità ad un servizio ci rivolgiamo a “chi può sistemare la faccenda” viviamo infatti in prima persona questa Mafia civile. Situazioni queste, favorite ancora una volta da un vuoto dello Stato, non in grado di punire chi falsa un concorso o di offrire rapidi servizi alla comunità, in cui noi singoli siamo conniventi con il mafioso civile di turno, politico; burocrate; affarista che sia. Al pari della Mafia mafiosa, inoltre, anche la Mafia civile è dotata di una capillare rete organizzativa, fatta di rapporti sociali, economici, politici. Una rete che può proteggerti ma anche imbrigliarti. Una rete che fa percepire la tua connivenza positivamente perché il tuo interesse si incastra con quello del sistema. Facendoti dimenticare che questa mafiosità coincide con il bene di alcuni, seppur tanti, ma non con il Bene comune, perseguibile solo dallo Stato. Non sentiamoci antimafiosi dunque poiché partecipiamo a un pubblico cordoglio. Se la Mafia mafiosa è il cancro, questa Mafia civile che ci pervade dentro è, infatti, emblema delle metastasi derivate.
Domenico Antonio Capone