Vi è una rabbia contro l’altro che fa paura. È la cultura dell’esaltazione dell’odio che suona male in un paese alla carta democratico come il nostro. È la rabbia, politicamente incarnata dai populismi, di un popolo deciso a porsi a capo della situazione per risolvere mali di ogni genere presenti in uno Stato malato, prodotti da una politica corrotta. Si badi bene, non è sbagliato il perché ma il come si realizzi la protesta popolare. Se infatti il credere di risolvere le difficoltà con bagni di sangue è un tratto congenito nel genoma umano, pensare di razionalizzare, giunti al potere, la rabbia che ha permesso di scardinare un sistema è pura follia. Il più delle volte si muore da reazionari dopo essere stati issati dalle baionette della rivoluzione. Robespierre docet. Il popolo del resto è un po’ come la maionese: se la sua rabbia viene montata su troppo, impazzisce. Immaginarlo come la quintessenza dell’integrità è pura utopia. Perché anch’esso può essere sporco, ingiusto, senza morale alcuna. Non erano forse figli del popolo quelli che si sono bestialmente scagliati contro l’arrivo a Napoli di Salvini, che del popolo, dei suoi desideri si considera portavoce? Le scene da macelleria messicana hanno sorpreso e non perché contrarie ad un’immagine stereotipata che vede il Meridione buono e buonista, fatto solo di uomini ingenui e paesanotti, collusi e allo stesso tempo vittime della corruzione, ma in fondo dall’animo ospitale e generoso, sempre e comunque. Semplicemente non è da paese civile il clima che ha respirato il segretario leghista (che tuttavia ci ha messo del suo a non farsi amare dalla città partenopea rivolgendole in passato altrettanti stereotipati commenti sudofobi). Semplicemente non è da paese civile cercare di impedire la presenza di un politico, di qualsivoglia schieramento, solo perché non si è in grado di garantire il rispetto dell’ordine pubblico, cosa poi puntualmente verificatasi, come addotto dal primo cittadino di Napoli. Uno Stato che non svolge il suo legittimo esercizio della violenza è infatti malato. Ed è malato anche quando assiste all’esaltazione, guidata da Salvini, di un uomo del lodigiano che ha ucciso un rumeno che tentava di derubarlo, dimenticando il duplice dramma che si è compiuto. E nel costringere un civile a sparare ed uccidere per difendersi, e nell’odio xenofobo connesso (perché sia chiaro, se il ladro fosse stato un italiano parleremmo di fatale disgrazia dettata dalla crisi economica). Uno Stato in ottima salute impedirebbe tanto la gazzarra squadrista quanto il doversi fare giustizia da soli, alla texana. È sbagliato montare sempre più la rabbia popolare con il risultato poi fisiologico di spingere il singolo, che nella massa perde la propria individualità nell’adrenalinica bestialità del momento, a scaricare l’odio incorporato su qualcuno, spesso indistintamente. L’odio si propaga per contatto e non sempre coloro che cavalcano la rabbia riescono a stare in sella al popolo. Il rischio maggiore è di essere disarcionati o peggio calpestati dallo stesso.
Domenico Antonio Capone