Lo diceva anche Cioran, “non si vive in un paese, si vive in una lingua”. Non siamo né filosofi né ci reputiamo tali ma siamo totalmente d’accordo con questa citazione, la lingua è molto di più di uno strumento per comunicare e per veicolare informazioni: trasmette anche il legame con il territorio. Non vogliamo fare i soliti campanilismi pugliesi, il concetto è generale, quando giriamo il territorio è la lingua, è l’accento, è il dialetto che ci indica dove siamo (oltre a Google maps).
Mi ricordo quando frequentavo le elementari e il maestro (montanaro) ci chiedeva di portare a scuola detti e storie nel nostro dialetto montanaro, nella ricerca si incontravano volti, storie e culture dei nostri borghi. Era un vero viaggio identitario che a mio avviso è stato uno dei momenti più educativi della scuola elementare.
Sono cambiati i tempi e magari anche i maestro o maestre sono molto più interessate a seguire i percorsi didattici ministeriali piuttosto che stimolare il legame tra individuo e territorio (evidentemente ritengono più educativo imparare come vivevano i babilonesi piuttosto che i nostri nonni) ma quelle ricerche ormai non ci sono più. Si studia l’inglese (giusto) per poter comunicare con tutto il mondo, il dialetto oramai è considerata una lingua che sa di vecchio e di rozzo, dimenticando a mio avviso che il dialetto è la lingua dei nostri predecessori che rozzi non definirei e che, in tutta franchezza, erano portatori di valori importanti e puri. Valori che la società “moderna” ha forse un po’ perduto.
Qualcosa però sembra volere cambiare, anche nelle istituzioni, notizia di qualche mese fa è l’inserimento nel testo unico della cultura di Regione Lombardia di alcuni articoli per la “salvaguardia della Lingua lombarda” … noi plaudiamo… ma questo perché non avviene anche nella nostra Regione Puglia?L’Italia è la nazione europea più ricca di dialetti. Addirittura, fino a pochi decenni fa gran parte della popolazione parlava solo il dialetto e conosceva poco e male l’italiano.
La lingua italiana deriva dal latino, così come dal latino discendono i dialetti che si parlano in Italia. Inizialmente tutte le lingue derivate dal latino venivano chiamate lingue volgari o semplicemente volgari. La parola volgare vuol dire appunto parlato dal volgo (dal latino vulgus), cioè dal popolo, che ormai non conosceva più il latino.
Calcolare quanti dialetti esistono in Italia è difficile, se non impossibile. Infatti in ciascun paese il dialetto ha spesso caratteristiche che lo differenziano da quello del paese vicino. In genere si fa riferimento a regioni, a province o a grandi città per definire i dialetti.
E così parliamo di dialetto calabrese, piemontese o lombardo, milanese, pugliese, campano , e così via. Ma in realtà sono denominazioni molto larghe e imprecise, perché spesso le differenze sono tali che non vi è possibilità di comprensione reciproca perfino all’interno della stessa regione. Inoltre, i suoni dei dialetti dell’Italia settentrionale, centrale e meridionale sono notevolmente diversi tra loro.
Parte di questa diversità dipende addirittura dalle lingue che vi erano parlate prima della diffusione del latino. Intatti, il nostro dialetto è un patrimonio culturale di straordinario valore. Tuttavia durante i secoli i nostri compaesani o corregionali emigrati al nord oppure all’estero hanno spesso avuto una considerazione negativa dai centri ospitanti, poiché considerati inferiori (nei casi di apprezzamenti gentili) in quanto ritenuti addirittura ignoranti. Per ogni civiltà il dialetto era la lingua materna, cioè la prima lingua: la lingua parlata prima di andare a scuola e fuori della scuola. Il dialetto era proibito a scuola, dove si doveva usare solo l’italiano, anche se per molti era una vera e propria lingua straniera. Fu un errore, che non consentì a molti né di imparare l’italiano né di acquisire un titolo di studio.
Questo atteggiamento negativo durò per oltre un secolo, fino a pochi decenni fa, facendo nascere anche in molti quasi un senso di vergogna per il dialetto. Dalla seconda metà del secolo scorso a oggi la situazione è radicalmente cambiata. Grazie a una notevole crescita economica e sociale, a un impegno più incisivo nell’istruzione e alla diffusione della radio e della televisione, oggi quasi tutti (oltre il 95% della popolazione) conoscono e usano l’italiano.
Tuttavia questo non vuol dire che il dialetto è scomparso, poiché circa il 50% continua a usarlo. In altre parole circa trenta milioni di Italiani conoscono e usano sia l’italiano sia il dialetto: in relazione alle circostanze o a chi ci si rivolge molti scelgono se usare l’uno o l’altro. Anzi, perfino nella stessa frase.
M° Michele Màngano
Maestro? I maestri di ballo quelli ad esempio della FIDS si fanno un mazzo incredibile altro che i quattro salti di costui! Certo che il fumo si vende bene!
Mo’ ci manca solo la lectio magistralis del “maestro” (ma de che) Màngano, o Mangàno….