Raffaella Romagnolo, La figlia sbagliata, Frassinelli, 2015
Curioso come la figlia che dà il nome al libro non sia in realtà la protagonista.
No, Riccarda Polizzi non può essere considerata affatto protagonista al pari di sua madre Ines: è l’anziana signora la voce narrante per più di metà del libro, i suoi pensieri si dipanano lungo la narrazione in un flusso costante di ricordi, accompagnati perlopiù da gesti quotidiani.
Il punto di vista di Riccarda lo si conosce a posteriori, ma sempre tramite una voce che viene da un passato più o meno lontano (a differenza di Ines, che parla, agisce e pensa sempre nel presente), come del resto avviene per suo fratello Vittorio.
E proprio la contrapposizione e il confronto tra i due fratelli, punto forte delle lunghe argomentazioni di Ines, funge da cardine per la narrazione degli eventi rivelando gradualmente il coraggio dell’una e la fragilità dell’altro. Da questo punto i ruoli sembrano invertiti, ciò che all’inizio era “sbagliato” diventa giusto e normale, e viceversa. Ogni personaggio guarda dalla sua prospettiva parziale, racconta la sua versione dei fatti. L’unico a rimanere sempre in silenzio è Pietro, il padre di famiglia, la cui morte dà l’avvio alla vicenda.
Il romanzo sembra uno spettacolo teatrale, e non solo per la presenza di Riccarda e il suo lavoro di attrice: il tempo che apparentemente non segue una logica ma presenta piuttosto frammenti del passato oscuro della famiglia Polizzi, i pochi personaggi e luoghi (se si escludono la località marittima e la scuola di teatro, l’ambientazione è unicamente quella della casa della famiglia), i lunghi monologhi interiori e il finale macabro e inaspettato ne sono la prova.
È un libro che analizza come pochi l’animo umano e tutte le sue degenerazioni. Lascia con il fiato sospeso, impietriti, incapaci davanti al degrado e alla distruzione messi in atto. Un libro che merita veramente; uno sconvolgente, piccolo capolavoro.
Raffaella De Meo