Il riscaldamento globale è dovuto alla grande concentrazione di gas serra, legato ad un modello di sviluppo fondato sull’uso intensivo dei combustibili fossili (petrolio e carbone). Il Vertice di Parigi sul clima, di dicembre 2015, pur mettendolo al centro della discussione si è poi limitato ad un invito verso gli Stati affinché riducano la dipendenza da petrolio e carbone. Bisognerebbe ricordarlo al Governo Renzi che a quel vertice era presente, e si è impegnato con altri 185 paesi, a contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi e a perseguire la strada della decarbonizzazione, ecco: fermare le trivellazioni in mare sarebbe in linea con gli impegni presi a Parigi per il raggiungimento di quell’obiettivo, ma il governo Renzi non solo disattende a quanto deciso nella conferenza ONU di Parigi, non avendo ancora calendarizzato la discussione in Parlamento, ma anche discussione necessaria per la sottoscrizione degli impegni di Parigi da assumere entro il 22 aprile, data in cui le nazioni che hanno firmato l’Accordo si riuniranno, in sede ONU per rilanciare lo sforzo mondiale per “Salvare il Pianeta”. Ma gli Stati, lo vediamo sono prigionieri dei poteri economico-finanziari, delle regole del mercato, delle multinazionali e continuano nella folle corsa verso il disastro. Il Referendum contro le trivellazioni, quindi, diventa un potente strumento di democrazia in mano al popolo perché, si abbandoni l’uso dei combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili. Obiettivo del referendum del 17 aprile, proposto da nove regioni e dai comitati No Triv è: fermare le trivellazioni in mare e tutelare le acque territoriali italiane, cancellare la norma che consente alle società petrolifere di fare ricerche ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane fino ad esaurimento del giacimento. Se è vero che le multinazionali del petrolio non possono richiedere nuove concessioni entro le 12 miglia marine, è anche vero che quelle già in corso non hanno alcuna scadenza. Il referendum vuole mettere al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere come: il pericolo di sversamenti di petrolio in mare che arrecherebbero danni irreparabili alle spiagge e al turismo; il rischio di movimenti tellurici legati soprattutto all’estrazione di gas. Un eventuale incidente, anche di piccole dimensioni, potrebbe produrre danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente, sulla qualità della vita e con ripercussioni gravissime sull’economia turistica e della pesca, non dimentichiamoci infatti, che i mari italiani, specie l’Adriatico sono chiusi tra due coste. Il testo del quesito è il seguente: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?”. Si capisce quindi che votando Si le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni. La cancellazione della norma al momento consente di estrarre gas e petrolio senza limiti di tempo sarebbe immediatamente operativa con la vittoria del Sì. L’obiettivo del referendum è chiaro e mira a far sì che il divieto di estrazione entro le 12 miglia marine sia assoluto. Non farlo, viceversa, corrisponderebbe ad aggravare le condizioni climatiche oltre che a disattendere gli impegni presi. Il tempo delle fonti fossili è scaduto, il referendum del 17 aprile indica che è ora di aprirsi ad un modello economico alternativo. Affrontare il tema della transizione energetica, investire nel settore delle energie rinnovabili, significa, anche, creare nuovi posti di lavoro, altro che perdere occupazione, come i detrattori del referendum vanno dicendo! La vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro, giacché, le attività petrolifere in corso non cesserebbero immediatamente, ma progressivamente. Infatti il Parlamento, prima di introdurre la norma che vogliamo abolire con il referendum del 17 aprile, prevedeva che le concessioni avessero, di norma una durata di trenta anni cosa, questa, che ogni società petrolifera sa! Il voto referendario è uno dei pochi strumenti di democrazia a disposizione dei cittadini italiani ed è giusto che i cittadini e le cittadine abbiano la possibilità di esprimersi anche sul futuro energetico del nostro Paese, colgo l’occasione per segnalare che erano stati presentati altri cinque quesiti che la Cassazione ha bocciato l’8 gennaio perché il Governo Renzi, nel frattempo, ha furbescamente riformulato due commi del Decreto Sblocca Italia 2016. C’è bisogno, quindi di una grande mobilitazione per la promozione del SI al Referendum perché le sfide ambientali che viviamo, ci riguardano! Diamoci da fare, per arrivare al Referendum con una valanga di SI e citando Alex Zanotelli “per salvarci con il Pianeta”.