Venerdì 22 Novembre 2024

Perché va rimossa l'installazione artistica nell'area archeologica di Siponto (di Teodoro De Giorgio)

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Dove l’arte ricostruisce il tempo“, questo il titolo del progetto, promosso dalla soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia e il segretariato regionale del Mibact, che ha interessato il Parco archeologico di Siponto, a pochi chilometri da Manfredonia. Uno stanziamento di complessivi 3,5 milioni di euro provenienti dai fondi strutturali del programma operativo interregionale (Poin) “Attrattori culturali, naturali e turismo 2007-2013“. Obiettivo primario della soprintendenza: garantire la conservazione dei resti dell’antica basilica paleocristiana (IV secolo d.C.) a tre navate, con abside centrale e pavimento musivo, per loro natura molto fragili e soggetti agli effetti degradanti degli agenti atmosferici. Obiettivo secondario: valorizzare l’intera area archeologica, al fine di favorire il turismo e, di conseguenza, di accrescere l’indotto economico del territorio limitrofo. Ottime intenzioni, non c’è che dire, perché la conservazione del patrimonio storico artistico, come ben sanno i professionisti del settore, deve sempre precedere la sua valorizzazione. Difatti, non può esserci valorizzazione senza conservazione.

Fatto salvo ciò, esaminiamo con attenzione, e rigore scientifico, le vicende legate al progetto sipontino. Il Poin aveva individuato in Puglia il Gargano quale area destinata all’attuazione di interventi di restauro, conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico pubblico. L’intervento, di 6.186.570,44 euro, viene prontamente indirizzato dalla soprintendenza archeologica pugliese sull’area di Santa Maria di Siponto e su quella limitrofa di San Leonardo di Siponto (Titolo progetto Poin asse I: “Manfredonia. Restauro Santa Maria di Siponto e San Leonardo“). Ed ecco prendere forma l’ambiziosa idea di commissionare a Edoardo Tresoldi, giovane e talentuoso artista-scenografo italiano, la realizzazione di una monumentale installazione, fatta di rete metallica, da ancorare al tracciato – riportato in luce dagli archeologi tra 1936 e 1953 – dell’antica basilica paleocristiana di Siponto, prospiciente alla chiesa di Santa Maria Maggiore (cattedrale fino al 1323), che mostri al visitatore l’ipotetica conformazione architettonica del monumento nella sua fase più tarda, quella altomedievale. A tal proposito, è doveroso ricordare che della basilica è nota solo la pianta perimetrale, rimasta inalterata dalla fondazione dell’edificio paleocristiano, e che si ignora totalmente il suo aspetto esterno, quindi qualsiasi conformazione conferita alla struttura metallica, quand’anche dietro suggerimento di archeologi e storici dell’arte, manterrebbe carattere rigorosamente ipotetico.

Nell’estate del 2015 la soprintendenza contatta Tresoldi, che con la rete metallica è capace di compiere meraviglie. Nelle sue mani, e in quelle del suo affiatato gruppo di amici, la rete si trasforma in sculture semitrasparenti che assumono le fattezze di corpi umani e di monumentali scheletri architettonici. Tresoldi, che già aveva realizzato analoghe installazioni in Italia e all’estero per eventi in prevalenza temporanei, come accaduto nel 2015 in occasione del festival musicale di Abbots Ripton in Inghilterra o, sempre nello stesso anno, per il Meeting del mare presso Marina di Camerota, non ci pensa due volte ad accettare la prestigiosa commissione pubblica.

Dopo mesi di duro lavoro, Tresoldi & company, affiancati da architetti, ingegneri, tecnici e operai della soprintendenza, portano a compimento l’opera. Sul tracciato dell’antica basilica paleocristiana prende vita una struttura di intricati reticolati di fili metallici, capace di incantare lo spettatore con effetti che ricordano la realtà virtuale, specialmente di sera, quando la luce artificiale crea spettacolari suggestioni visive. Effetti ampiamente documentati dalle tv e dai giornali accorsi in occasione dell’inaugurazione di venerdì 11 marzo.

Fermo restando bravura e originalità dell’artista nostrano, che ai microfoni del Tg1 ha dichiarato con soddisfazione che la sua “è la più grande struttura costruita interamente in rete al mondo”, non possiamo sottovalutare un fattore di capitale importanza: l’installazione non è in grado, per via della sua connaturale composizione a rete, di “conservare” (nel senso scientifico del termine) il monumento sottostante. Eppure, l’obiettivo principale era o non era la conservazione del monumento? Le parole del soprintendente Luigi La Rocca sono illuminanti: il progetto “nasce da un’esigenza di carattere conservativo, cioè la copertura delle strutture antiche, in particolare dei mosaici della basilica paleocristiana e le strutture emergenti di questa chiesa”. Si capisce bene, allora, che l’obiettivo non può che essere sfumato, non solo perché la pioggia attraversa la rete metallica fluendo verso il basso, dove si trovano mosaici e persistenze archeologiche, ma soprattutto perché l’installazione è stata ancorata proprio su queste ultime, come si evince chiaramente dall’abside (danneggiandole irreparabilmente?). Ulteriore aspetto da tenere in debita considerazione è che risulta seriamente compromessa la leggibilità dell’intera area archeologica (la struttura installata non è certo invisibile o virtuale, tutt’altro) e, in particolare, dell’antica basilica di Santa Maria Maggiore. Perché è così importante ai fini scientifici la leggibilità di un monumento? Perché proprio nella “leggibilità” è racchiuso il senso del nostro patrimonio culturale, che ha bisogno di mostrarsi senza veli, senza inutili artifici e sovrastrutture, allo sguardo dello spettatore, per permettergli di cogliere quell’intreccio di storia e arte da cui discende il presente. E in questa prospettiva, la piena leggibilità è garanzia di un monumento vivo, ben conservato e autenticamente pubblico.

Per comprendere l’entità del danno cagionato all’intera area archeologica di Santa Maria di Siponto basterà un esempio: è come se le strutture mancanti del Colosseo o della basilica Emilia di Roma venissero “integrate” con sezioni in rete metallica permanenti. A chi verrebbe in mente di farlo? A nessuno, si spera. Il guaio è che l’area archeologia di Siponto non gode della fama dei soliti monumenti noti e quindi può ben essere stravolta, e resa illeggibile, nell’indifferenza collettiva e con tanto di soddisfazione da parte degli “avanguardistici” responsabili della stessa soprintendenza, che per legge sono deputati a garantire, in nome e per conto del Popolo italiano, conservazione, salvaguardia e tutela dei monumenti di proprietà pubblica di loro pertinenza.

È per tutte queste ragioni che la soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia dovrebbe operare l’immediato smantellamento della voluminosa (14 metri di altezza) e pesante (7 tonnellate) struttura metallica, installata, per giunta con denaro pubblico (900 mila euro il solo costo per la realizzazione dell’opera), nel fragile sito archeologico di Santa Maria di Siponto. Un progetto che non sembra avere la ben che minima validità scientifica, tantomeno conservativa, e che si avvale di un’interpretazione arbitraria della parola “valorizzazione”, che non consiste nell’installare un'”attrazione” (con tutto il rispetto per l’opera di Tresoldi) in prossimità di un monumento allo scopo di richiamare più visitatori, ma – come decretato dall’articolo 6 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio – nell’attuare azioni, non pregiudizievoli per la conservazione, la tutela, l’integrità e la visibilità dei beni coinvolti e rigorosamente compatibili con il carattere storico-artistico degli stessi e col paesaggio circostante, volte a “promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso”.

L’aspetto più grave di questa vicenda, però, è che tutto sia partito, paradossalmente, dagli stessi enti pubblici preposti alla tutela e alla salvaguardia del sito archeologico di Siponto. Da storico dell’arte mi chiedo, e chiedo ai responsabili della soprintendenza archeologica pugliese e al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, come sia possibile che un simile progetto sia stato – nell’ordine – formulato, approvato, commissionato e realizzato senza che nessuno all’interno della soprintendenza e del ministero muovesse il minimo dubbio sulla compatibilità dell’intervento con l’area archeologica interessata e sui possibili danni, materiali e immateriali, derivanti ai monumenti. Il progettista e direttore dei lavori Francesco Longobardi, in un’intervista al Tg1, ha dichiarato che si è trattato di “un progetto dove abbiamo trasferito in un sito archeologico la terza dimensione e abbiamo ridato identità a questo luogo, ricreando le suggestioni, le emozioni di chi viveva al tempo questa basilica”. Bella pretesa pensare di ridare identità a un luogo con le suggestioni e le emozioni della terza dimensione! La triste realtà è che, senza nulla togliere al fascino dell’opera di Tresoldi, nel Parco archeologico di Siponto è stato palesemente leso l’articolo 9 della Costituzione (“La Repubblica … tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”) e si è smarrita, con la pretesa di un presunto dialogo tra antico e contemporaneo, proprio quella identità che i monumenti possedevano, e che forse potrebbero ancora riacquistare se l’installazione da “permanente” diventasse, come si auspica, “temporanea”. Senza considerare il fatto che l’installazione, qualora non rimossa, rappresenterebbe un pericoloso precedente per altre strampalate profanazioni di luoghi e monumenti del nostro fragile patrimonio culturale.

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Teodoro De Giorgio (Brindisi, 1979), storico dell’arte, è dottore di ricerca in “Studi sulla rappresentazione visiva” all’Istituto Italiano di Scienze Umane di Firenze, dal 2013 entrato a far parte della Scuola Normale Superiore di Pisa. Dopo la laurea con lode in Conservazione dei Beni culturali, indirizzo storico-artistico, conseguita all’Università del Salento, ha frequentato la Scuola di Specializzazione triennale in Storia dell’arte dell’Università di Napoli “Federico II”. Allievo del semiologo Omar Calabrese e degli storici dell’arte Francesco Caglioti e Tomaso Montanari, nella sua attività di ricerca si occupa prevalentemente di iconografia e iconologia, di storia e teoria della rappresentazione visiva e di gestione del patrimonio culturale. Ha ideato e curato importanti esposizioni artistiche, di cui una posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, ed è autore di numerosi articoli e pubblicazioni scientifiche.

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Commenti

  • In aggiunta alle considerazioni di De Giorgio, credo che sotto il profilo della “visibilità” vada aggiunto che sul piano del risultato, di giorno la struttura è quasi invisibile per effetto della luce solare. Al buio invece, grazie al sistema di illuminazione, è più percepibile e da l’idea di come possa essere stata l’antica basilica. Ma per ottenere questo effetto notturno non sarebbe stato più semplice, economico e meno dannoso per il sito archeologico una semplice proiezione olografica?

    Vincenzo Zito 19/03/2016 16:31 Rispondi
  • Non voglio replicare con dotte argomentazioni, mi basta dire che l’articolo rappresenta in pieno ciò che è diventata la mentalità italiana oggi.

    Nicola 19/03/2016 0:47 Rispondi
  • Senza fare inutili campanilismi, va oggettivamente condivisa l’opinione o meglio l’analisi attenta e competente che ha fatto il Professore DE GIORGI. Se poi ogni volta ragioniamo pensando a fare soldi su ogni cosa allora ne avremmo fatti di più vendendo tutto il sito a qualche nazione che non ha la nostra cultura. La mia personale opinione è la seguente: Come opera assestante ha il suo indiscusso fascino, di sera crea un atmosfera unica che prende il cuore e l’emozione di chi da bambino andava a giocare in quelle campagne o dava il suo primo bacio, ma ha completamente offuscato e snaturato la nostra amata basilica, un accostamento molto discutibile come quello fatto ai piedi del castello, ci vedo solo la voglia di metterci la firma di qualcuno su un opera che ha un valore inestimabile. Per intenderci è come il comune studente maleducato che lascia con un pennarello la sua firma su opere monumentali.

    Contessa 18/03/2016 18:19 Rispondi
  • È molto difficile leggere e vivere a pieno l’archeologia. Io ritengo che l’opera sia valida e valorizzi il sito: lo renda vivo. Mi auguro al contempo che il progetto abbia previsto il minimo impatto sul sito. Interventi specifici a tutela della pavimentazione potrebbero essere previsti. Mi preoccupano però la manutenzione e la pulizia dell’opera. Spero che tutti i cittadini in primis apprezzino e si accostino con ripetto al nostro patrimonio e non solo per un momentaneo campanilismo.

    Incredula 18/03/2016 16:11 Rispondi
  • Sento di condividere, da architetto, questo articolo. La bravura dell’ artista e’ fuori discussione, ma quel milione si poteva spendere molto meglio. L’ effetto e’ scenografico, ma nulla più.

    an 18/03/2016 14:08 Rispondi
  • Perfetto, l’articolo del Dott. De Giorgio è praticamente perfetto.La struttura,per quanto bella, deturpa il paesaggio, non valorizza il sito e non effettua nessuna protezione al sottostante mosaico pavimentale. Bisognerebbe, o coprire il tutto e demolirla per costruire una protezione seria.

    Paco 18/03/2016 11:39 Rispondi
  • Menumel cá t’n’m a te cá si ngnir!!!

    Costantina maggia 18/03/2016 11:21 Rispondi
  • Facciamo distinzione: la pavimentazione non é protetta? nessuno puó contraddirti, ma una semplice copertura trasparente calpestabile risolverebbe il problema. L´opera é un danno e andrebbe rimossa? Non sono affatto d´accordo. Prevedibile articolo, l´opera é bella, coraggiosa e lungimirante. Mi chiedo quanti ‘non-storici-d´arte’ fossero a conoscenza di una basilica tanto antica in quell’area. Io in quell’area ci sono nato e cresciuto, e posso garantirti che l´opera valorizza e diffonde conoscenza. Spero, ma di questo non c´é garanzia, che possa anche smuovere un pó le coscienze di giovani, famiglie ed educatori; ed insegnare loro che c´é qualcosa di valore da proteggere, che il bene pubblico é il bene di ognuno di noi, che rompere un´aiuola, o scrivere sulle mura del castello é un gesto incivile e deplorevole. Desidero da anni un salto di valore e di dignitá per la nostra comunitá, che questa sia l´occasione giusta?

    Emanuele 18/03/2016 11:19 Rispondi
  • Finalmente un esperto che dice una cosa sensata e che, spero, venga preso subito ad esempio da tutti quelli che, esperti anche, non hanno il coraggio di esprimersi. Per quanto riguarda il flusso turistico, come tutte le cose di Manfredonia, durerarà alcuni mesi, poi…..buio pesto e abbandono sicuro. Per non parlare della futura eventuale manutenzione dell’opera. Tanti soldi, se li avessero utilizzati per scavare e tirare fuori tutto quello che il sottosuolo custodisce, in primis l’anfiteatro, sarebbe stata la cosa più sensata.

    fragreg 18/03/2016 10:38 Rispondi
  • Mi permetto di replicare come docente ed educatore. Quando l’archeologia diventa pura conservazione perde il contatto con il mondo reale e con la contemporaneità. La possibilità di leggere un luogo attraverso una struttura, come quella che è stata realizzata, ha una straordinaria valenza didattica non solo per il sito ma per tutti i parchi archeologici d’Italia. Oggi tutti i cittadini che visitano il nostro sito di Siponto possono immaginare e, quindi, comprendere che la bidimensionalità di uno scavo sottintende altro: una struttura che aveva delle mura, un tetto, una funzione che può essere finalmente compresa. Per estensione vedendo altri parchi con pochi resti di una città antica potranno ricostruire mentalmente e, quindi comprendere una struttura di 2000 anni fa. Non abbiamo ricostruito il Colosseo (che nell’immaginario collettivo è quello che vediamo oggi e non quello coperto di travertino e con tutti i piani o con strutture moderne poste al di sopra) ma un luogo che sarebbe stato uno scavo tra i tanti, tantissimi che abbiamo in Italia e che portava poche centinaia di persone all’anno alla sua visita. Mi spiace ma dissento fortemente con chi ha criticato quest’opera e non per campanilismo ma per la straordinaria significatività delle stessa in chiave didattica!

    Alfredo De Luca 18/03/2016 9:58 Rispondi
  • Tutto l’articolo non fa una grinza!
    QUOTO IN TOTO!

    echimolari 18/03/2016 9:43 Rispondi
  • Avete notato che quando si vuole screditare il prossimo si usa sempre evidenziare l’utilizzo di risorse pubbliche quando in Italia l’80% della popolazione vive con esse? Come lo stesso autore di questo articolo…

    Ass 18/03/2016 9:42 Rispondi
  • La tua opinione, come tutte le opinioni, è rispettabile ed opinabile.
    Non ritengo che possa essere abbattuta sia per mancanza di risorse economiche, sia per l’opportunità turistica creata, quantunque la “ricostruzione” sia stata realizzata su disegno ipotetico.
    Non sono né ingegnere, né architetto e né archeologo, ma un semplice cittadino che è fiero di quanto è stato fatto. Se si dovessero abbattere tutti i restauri sbagliati si dovrebbe buttar giu il Torrione e la Porta Marina di Campolargo Diomede con tutto il Castello.

    Antonio Racioppa 18/03/2016 9:15 Rispondi
    • Si, purtroppo tutti questi restauri sbagliati non sarebbero dovuti nemmeno cominciare, ma per fare ciò bisognerebbe creare una coscenza cittadina e un movimento di cittadinanza attiva che proponga, in generale, qualsiasi idea migliorativa per una città nonché vigili sul cattivo operato della amministrazione.

      echimolari 18/03/2016 9:57 Rispondi
    • Condivido pienamente con te Antonio . Al di là delle ragioni , è mai possibile che in questa città tutte le volte che si fa qualcosa o si pensa di fare qualcosa ,vedi per esempio il monumento al nostro fondatore Re Manfredi , c’è sempre qualche sirena che debba affrancarla con un NO ? Gli errori sono stati fatti nel passato ma ora basta lasciata il sito archeologico così come è ora compreso l’opera che le sirene vogliono demolire , non vi piace ? non andate a visitarla ma per piacere cercate di non danneggiare l’intento di portare turismo (lavoro) in questa città che ne ha tantissimo bisogno . Anch’io avevo detto qualche mese fa il mio parere contrario ma ora ammetto di aver sbagliato opinione .

      Sergio 18/03/2016 14:12 Rispondi
  • Quanto è facile parlare dopo…..

    Emimmo 18/03/2016 8:52 Rispondi
  • Pur non essendo uno storico dell’arte, avevo grosse perplessità sull’utilità dell’opera. Le argomentazioni del professore mi sembrano valide.

    Teo 18/03/2016 8:44 Rispondi
  • Il sig. De Giorgio dopo aver fatto un’analisi attenta sull’evoluzione della progettualità, sostiene che la struttura metallica va rimossa perché, in soldoni, nn rispetta il requisito della ” valorizzazione”.
    Mi permetto di dissentire dalla sua conclusione, e spiego il perché.
    Credo che Lei ha un’idea di valorizzazione piuttosto desueta, cerchi, per un’istante, di pensare che proprio una struttura futurista, ben inserita in un sito antico, può contribuire a richiamare l’attenzione dei turisti, se ben pubblicizzata.
    Lei ha secondo me una visione rigida di pensare alla valorizzazione dell’arte.
    Cordialmente.

    Pasquale Bisceglia 18/03/2016 8:39 Rispondi
  • la basilica in rete metallica è una vera opera d’arte. mai visti tanti visitatori a siponto.una delle poche cose davvero interessanti per manfredonia. complimenti sinceri.

    sipontino d'ok 18/03/2016 8:01 Rispondi
    • Ma andate a cagare proprio che volete farlo morire sto paese sapete solo trovare scuse patrimonio culturale zona archeologica ma dove se appena fate qualcosa c’è qualcuno che rompe non volete il turismo nn volete l industria nn volete il gas no alle trivelle ma cosa dobbiamo fare fanno bene che scappano via tutti abbiamo il più bel paese al mondo ma la gestione più schifosa mettetevi a vergognia fate ridere che schifo

      William 18/03/2016 13:49 Rispondi
    • condivido con sipontino d’ok !

      Sergio 18/03/2016 14:14 Rispondi

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