E così Gigetto giocò anche con la morte.
Non “giocò la morte”, perché questa, come lui ben sapeva, non la si può giocare.
Ma ci giocò insieme, se la fece amica e compagna, come solo lui sapeva fare con le persone, e la ospitò presentandola con un vestito più colorato di coriandoli e una faccia diversa ad amici e familiari.
Ed alla città intera.
E così “sorella morte” prese una faccia più bella, meno brutta, perché, come Gigetto sapeva, la natura e la sorte non hanno nulla di brutto, anche quando appaiono tali perché portano dolore e sofferenza: tutto sta a saperci giocare insieme e nel modo giusto.
E per giocarci insieme Gigetto chiese aiuto alla vita, che amava così tanto, e per la quale aveva un gusto particolare e intenso. Quel gusto che aveva sempre professato, con cocciutaggine, durante la propria esistenza, che aveva predicato all’intera popolazione e a tutti i conoscenti.
E poi chiese aiuto alla storia della sua terra, che amava quanto la sua famiglia, ai millenni di storia passata, ai Dauni, ai Greci, ai Romani, al Senato e al Popolo Sipontino, alle tradizioni e ai riti che lui custodiva gelosamente sperando che ritornassero fra la gente a rendere meno difficili le ore del quotidiano.
Spiegò a tutti che Ze Péppe non è solo un pupazzo, ma il retaggio di una grande cultura che conta millenni dietro di sé, e che racconta che vivere non è facile ma che non vivere è peggio, e che giocare con la morte è indispensabile: cosa è, del resto, il nostro Carnevale, se non questo gioco eterno, riassunto della vita?
Così ideò, da idealista, anche il suo funerale, sostenuto da vicino da moglie, figli, nuore, generi e nipoti, per spiegare agli amici e ai simpatizzanti, ed anche a tutti gli altri, che c’è un modo più magico non solo di vivere ma anche di morire. E’ il modo che ci ha insegnato la nostra Madre Terra, che a febbraio sembra appassire ma solo per rinascere a primavera.
E così la banda, gli applausi, gli amici, i compagni, i nipotini festosi che accarezzavano il nonno e poi lo salutavano con gioia spargendo stelle filanti dal balcone, mentre la bara usciva dal portone di casa, dimostrano che Gigetto aveva ragione; e mostrano a chi c’era al suo funerale, fra don Fernando e la banda che suona tra i coriandoli all’uscita dalla chiesa, che la morte è sacra e per questo può essere qualcosa di diverso, e che la grande storia del Popolo Sipontino, forse, con la partecipazione di tutti, avrebbe il dovere di continuare a vivere.
Ave.
(di Andrea Pacilli)
Solo un grande amico,con la tua sensibilità e cultura,poteva descrivere in questo modo l’ultimo saluto di mio padre!!!!GRAZIE!!!
Tutto ciò che viene scritto con passione , viene letto con piacere e Andrea, con estrema bravura, ha saputo mettere , come sempre, le parole al servizio di una persona davvero speciale!
Complimenti Andrea