Domenica 22 Dicembre 2024

San Leonardo di Lama Volara: la straordinaria restituzione di un bene storico alla pubblica fruizione

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“A quattro miglia da Manfredonia ci si offrirono allo sguardo le rovine di una badia abbandonata, con una porta bellissima ed una tribuna ben conservata di puro stile romanico. Un tempo fu una delle più ricche commende dell’Ordine Teutonico… Oggi San Leonardo è diventato centro di una fattoria e non è abitato che da pecorai…”. Così, nel lontano 1882, il famoso studioso tedesco Ferdinando Gregorovius esprimeva la sua delusione nel constatare l’ingloriosa fine di uno dei più importanti complessi medievali pugliesi. Altri storici dell’arte, non meno famosi, come il Lenormant e il Bertaux, a margine dei loro resoconti non poterono evitare di segnalare come una chiesa così importante fosse divenuta da oltre un secolo un ricovero di animali. Seguirono cinquanta anni di ulteriori spogli e deturpazioni, come la vendita a privati di tutti gli edifici, passando alle proposte di vendita del prezioso portale ad un museo di Berlino, sino alle vicende post belliche che danneggiarono l’antica cappella della chiesa. Seguì una fase di rinascita che riguardò, tuttavia, solo la chiesa, grazie ai restauri della locale Soprintendenza diretta dall’arch. Schettini, e ancor più grazie al compianto canonico Silvestro Mastrobuoni, promotore della riapertura al culto della chiesa nel 1950 e di varie iniziative di carattere assistenziale-caritatevole nel restaurato ex ospedale, l’antico xenodochium medievale. Dagli anni ’60, scomparso Mastrobuoni ed in assenza di una destinazione d’uso certa, il sito ripiombò di nuovo nell’oblio; come molti sanno il solo restauro di per sé non salva un monumento bensì ne protrae di qualche decennio la vita. Dopo decenni di una antistorica dicotomia tra la chiesa restaurata e la rovina delle fabbriche circostanti, nel 2011 arriva la svolta per volontà del nostro arcivescovo Mons. Michele Castoro che con lungimiranza affida il complesso alle amorevoli cure della comunità dei “Ricostruttori nella preghiera”. La straordinaria passione e il coraggio di questi nuovi “crociati”, animati da una professione di fede profonda, sono stati il vero presupposto per quello che oggi possiamo ammirare. Dal 2011 è stato un crescendo di iniziative, realizzate dai “ricostruttori”, anche grazie al sostegno di tanti volontari e associazioni. Una nuova “epifania” che ha convinto il Ministero dei Beni Culturali, attraverso l’impegno dell’ex direttrice del Segretariato Regionale, dott.ssa Isabella Lapi e soprattutto del funzionario arch. Nunzio Tomaiuoli, che era giunto il tempo per investire proficuamente soldi pubblici e far rivivere stabilmente queste antiche fabbriche. Nel 2013 il MIBACT – Direzione Regionale per i Beni culturali e Paesaggistici della Puglia ha inserito San Leonardo in un progetto POIN assieme ai siti di Santa Maria di Siponto e del Museo archeologico – castello di Manfredonia – al fine di costituire un vero e proprio polo museale nella Puglia settentrionale. Una rinascita tanto convincente in quanto rispettosa della storia del monumento, non senza qualche doverosa attualizzazione alle forme del vivere moderno. Un risveglio nel segno della fede, quindi, attraverso il ripristino della conventualità, con l’intento di restituire ad ogni edificio l’originaria destinazione d’uso o vocazione. Così l’hospitium (ex ospedale), isolato accanto alla chiesa, realizzato dall’Ordine Teutonico nel 1327, tornerà ad accogliere ed assistere il pellegrino-turista nelle forme moderne, con un piccolo auditorium al piano terra ed alcune camere al primo piano. Il grande convento posto alle spalle della chiesa, invece, è risorto dai suoi ruderi come dormitorio solo per la metà posta sul lato est. Nella restante parte, sul lato ovest, sarà allestito un piccolo museo dedicato alla storia dell’area sipontina, testimoniata da un ricco lapidarium posto al piano terra, ma anche con una sezione che possa descrivere al meglio quel grande fenomeno storico del pellegrinaggio di cui San Leonardo è testimone di pietra. Il restauro, diretto dall’architetto Francesco Longobardi della Segreteria Regionale dei Beni Culturali, è stato lungo e complesso, interessando principalmente le fabbriche conventuali, quelle per cui un abbandono ininterrotto, dalla fine del XVIII secolo, ha determinato gravi e diffusi fenomeni di degrado oltre a numerosi crolli. Ma anche la chiesa è stata interessata da importanti lavori di ripristino per lo più legati all’eliminazione degli interventi degli anni ’50, quali il rifacimento degli arredi sacri, non più adeguati alle moderne celebrazioni, della pavimentazione in cotto, e l’impermeabilizzazione del tetto e degli impianti. Accanto alla straordinaria valenza dell’opera di restituzione di un bene storico alla pubblica fruizione, vi sono altri obiettivi conseguiti non meno importanti. La ricerca di carattere archeologico sulle strutture ha condotto ad una messe di informazioni storiche di prima mano. Per la prima volta è stato possibile indagare nella chiesa la stratificazione di altri due livelli di pavimentazioni sinora sconosciuti, da quello medioevale più in basso sino a quello seicentesco oggi ripristinato. Non meno importanti i dati restituiti dagli altri edifici. Dell’edficio dell’ex ospedale sono riemerse le strutture fondali del grande loggiato medievale del lato sud, la cui presenza fu ipotizzata nel 2005 in un importante convegno di studi. Numerose interessanti sepolture sono riemerse attorno alla chiesa; una in particolare ha restituito un piccolo tesoretto di monete antiche. Altre murature antiche riemerse isolate nella zona conventuale consentono di riscrivere la storia del complesso nei primi oscuri anni agli inizi del XII secolo. Molti i reperti ritrovati che saranno esposti nel nuovo museo, alcuni di straordinaria importanza, testimoni di secoli di storia del convento: da un trave decorato con iscrizione che fa riferimento agli anni fulgidi del priorato di Pietro, proprio negli stessi anni della realizzazione del famoso portale, ad una lastra tombale in caratteri gotici probabilmente destinata alla sepoltura di un cavaliere teutonico, sino ai resti delle effigi delle committenze succedutesi al governo dell’abbazia; dalla croce segnata dell’Ordine Teutonico agli stemmi di alcuni cardinali commendatari. Di rilievo è il rinvenimento dei resti di un interessante loggiato di epoca teutonica collocato sul prospetto sud del convento. Altre sorprese serberà il prossimo solstizio estivo quando sarà possibile ammirare il nuovo rosoncino di luce finalmente ripristinato nella sua originaria con figurazione a 11 petali. Ma uno degli eventi simbolo di questa rinascenza resta il ruolo che è stato riservato al ritorno, nella chiesa restaurata, del grande crocifisso di San Leonardo. Si tratta di uno dei più straordinari reperti di arte romanico/gotica dell’Italia meridionale, che per oltre sessant’anni, dal suo ritrovamento nella chiesa ridotta a stalla e dal suo restauro (1956), è passato dall’expo di Bruxelles del 1962, poi per alcuni decenni in pinacoteca a Bari sino alla sua sede provvisoria nella cattedrale di Manfredonia (dal 1985) dove ancora è custodito. Il ritorno del crocifisso in chiesa è atteso per i prossimi mesi, al termine di una campagna diagnostica ambientale, nel frattempo una sua copia fotografica è stata posta al centro del transetto, dove appunto sarà ricollocato. Esso rappresenta un evento nell’evento, un sigillo di straordinaria importanza che testimonia, meglio di ogni altro segno, che quel lungo percorso dopo circa settant’anni si è finalmente concluso e un’opera tanto importante e preziosa, come tante volte auspicato dal Mastrobuoni, potrà tornare ben custodita nella propria dimora.

Antonello D’Ardes – architetto consulente per la D.LL. del Segretariato Regionale dei Beni Culturali

Foto in anteprima di Bruno Mondelli

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