All’indomani del devastante sacco della città ad opera dei turchi, nell’agosto 1620, Manfredonia si ritrova con il Duomo distrutto e, secondo la Cronologia de’ Vescovi et Arcivescovi Sipontini del 1680 curata da Pompeo Sarnelli, “di tutte le chiese solo quella di San Marco, vicino alla Cattedrale restò colla sua volta; e questa servì di Metropoli molti anni infinintanto che si rifece il Duomo”. A conferma di questa informazione, nel volume di Matteo Spinelli Memorie storiche dell’Antica e Moderna Siponto (1785) si legge: “Interinalmente fu stabilita per Chiesa Metropolitana la Congregazione di San Marco, che era presso l’odierno Campanile, alla quale Chiesuola restò intatta la lamia, ed ivi dentro si ufficiò dal Capitolo Sipontino sintantocchè si rifece il rovinato Duomo”. La chiesuola di cui stiamo parlando oggi è ancora in piedi, ma da secoli ormai non è più una chiesa, bensì un ristorante, dopo essere stata una drogheria e una civile abitazione. A quanto dicono le testimonianze citate, in questa piccola chiesa posta vicino al Campanile e al Duomo dimorava una congregazione dalla quale la chiesa prendeva il nome. Ma cosa ci faceva una congregazione con il nome di San Marco a Manfredonia? Secondo le ricerche storiche effettuate dall’Avv. Giuseppe Grasso, (La chiesuola di S. Marco a Manfredonia: Documenti storici e storiografia, Centro Documentazione storica Manfredonia, Bollettino n.3, 1995) la presenza di questa chiesa nella nostra città è dovuta al fatto che Manfredonia, grazie alla sua favorevole posizione geografica, sin dal periodo aragonese era un porto molto importante, con un notevole movimento mercantile. “L’intenso traffico commerciale di Manfredonia si svolgeva non solo con Venezia – afferma l’avv. Grasso nel suo saggio sulla chiesuola di San Marco – ma anche con la Dalmazia e l’Albania; inoltre con i Medici e con le repubbliche di Genova e Pisa. Tuttavia si sottolinea che per lungo tempo Venezia ha esercitato il controllo economico dell’Adriatico, con implicazioni politico giuridiche e culturali”. La chiesuola, terminata la sua funzione di rimpiazzo del Duomo, la cui ricostruzione pare durasse parecchi anni, nel 1632 venne interdetta, ovvero ebbe una censura spirituale la quale impediva che nella chiesa si potessero svolgere i divini uffici, l’amministrazione dei sacramenti e la sepoltura ecclesiastica. Purtroppo, nonostante le insistenze dell’avv. Grasso presso gli archivisti della curia, non gli è stato permesso di accedere a quei documenti che avrebbero spiegato le ragioni dell’interdizione della chiesuola. Tale accertamento non sarà possibile finché, “rimossa la polvere e riordinati finalmente gli atti, con ogni discernimento su opinabili contraffazioni prima malauguratamente successe”, non sarà permessa la “consultazione assistita” di questi documenti. Voci popolari giunte fino a noi, e romanzate sempre dall’avv. Grasso nel suo racconto L’eremo de Scandòneje, (Grafiche Falcone, Manfredonia, 2003) narrano di monete ritrovate durante gli anni ’40 nella chiesuola, ormai adibita ad abitazione, che davano un’ulteriore conferma della presenza di veneziani nel nostro paese. Purtroppo non si conosce il seguito della storia e il luogo in cui vennero conservate tali monete, ma a memoria degli antichi usi di questo luogo storico resta il portale finemente decorato che certamente non passa inosservato nemmeno all’occhio più distratto.
Mariantonietta Di Sabato