I pazienti con diabete di tipo 2 che hanno livelli più elevati di acido urico nel sangue hanno un rischio maggiore di sviluppare un danno ai reni. É la scoperta di uno studio coordinato da Salvatore De Cosmo, medico responsabile del Dipartimento di Scienze Mediche dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo in collaborazione con Antonio Pacilli, medico dell’Unità di Endocrinologia e Roberto Pontremoli dell’Università di Genova.
Lo studio prospettico, pubblicato su Clinical Journal of the American Society of Nephrology, ha coinvolto più di 20.000 pazienti distribuiti su tutto il territorio nazionale e più di 200 centri di Diabetologia, grazie al supporto dell’Associazione Medici Diabetologi.
Il disegno dello studio prevedeva di indagare la capacità di elevati livelli di acido urico nel sangue, misurati all’inizio del periodo di osservazione, di indurre un danno renale dopo 4 anni di follow-up. I risultati hanno consentito di stimare un raddoppio del rischio di sviluppare un danno ai reni nei pazienti che avevano valori di acido urico più elevati.
L’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, coordinatore dello studio essendo parte della rete diabetologica, ha contribuito anche con la valutazione dei propri pazienti affetti da diabete di tipo 2, nei quali vengono costantemente monitorati anche i livelli dell’uricemia.
Il danno ai reni rappresenta una complicanza molto grave e frequente del diabete. Interessa circa il 40% dei pazienti e può essere responsabile di insufficienza renale terminale con necessità di trattamento dialitico.
«É di fondamentale importanza – spiega Salvatore De Cosmo – studiare ed individuare nuovi potenziali fattori di rischio di danno renale, oltre a quelli già noti quali l’ipertensione arteriosa e lo scompenso glicemico. Ciò consente non solo una migliore comprensione dei meccanismi attraverso i quali si verifica il danno ai reni, ma può aiutarci anche ad individuare nuovi obiettivi per interventi preventivi e terapeutici. Questi risultati rappresentano la base di partenza per poter disegnare e condurre studi di intervento, nei quali si valuterà come la correzione farmacologica dei livelli elevati di acido urico possa tradursi in una chiara protezione renale».