“Lo stato di salute della città dopo gli anni dell’Enichem interessa a pochi intimi”. Così recitava il titolo di un articolo pubblicato sulla gazzetta di capitanata del 23 settembre 2015. Una gestazione durata sette giorni per partorire un articolo, pensato forse da più teste, sull’evento del 16 settembre 2015 (quarto incontro pubblico sullo studio epidemiologico a Manfredonia). Perché tanto tempo? Esiste una strategia ben precisa?
“chiudere una fase storica della città” è il grimaldello dell’articolo che è riuscito a chiarire, almeno per me, alcune questioni.
Purtroppo la chiave, per chiudere la fase storica della nostra città, non ha il passo del chiavistello montato. Un dentino aggiunto al chiavistello, dai ricercatori, sembra aver ostacolato, almeno per ora, l’uso della chiave. Infatti i ricercatori hanno voluto ostinatamente coinvolgere i cittadini e l’intera comunità nel lavoro di ricerca. L’impegno chiesto ai cittadini, singoli e associati, consiste nel creare una serie di attività d’informazione alla cittadinanza, collaborando, in modo del tutto gratuito e volontario, a ricercare dati, esperienze e conoscenze per descrivere avvenimenti di vissuto. I ricercatori non chiedevano “specificità professionali per rappresentare un progetto che ha, dovrebbe avere un taglio altamente scientifico”. L’idea dei ricercatori è rendere partecipi, i cittadini, di un progetto che interessa l’intera comunità. Delle specificità professionali sono già dotati i ricercatori. Mettere in discussione il lavoro gratuito e volontario di un gruppo di cittadini è una gratuita provocazioni che forse non è gradito a qualcuno. Se a questo si aggiungono le dicerie messe in giro da qualche millantatore, facendo credere che il “sedicente coordinamento cittadino” percepisce un compenso, senza precisare da chi e di quale ammontare, allora si avverte, senza ombra di dubbio, il tentativo di screditare l’attività di volontariato di quei pochi cittadini capaci di dedicare, “in modo del tutto gratuito” il proprio tempo per il bene comune e nell’interesse di tutta la comunità.
Certamente in un sistema politico in cui ogni azione è mirata alla personale gratificazione e in difesa dei propri interessi, diventa difficile pensare che ci possa essere qualcuno capace di offrire gratuitamente il proprio impegno per una nobile causa.
L’infelice approccio sul taglio scientifico del coordinamento lascia riflettere e trova coincidenza con una frase del Sindaco che, in occasione del quarto incontro pubblico, ha dichiarato di essere intenzionato a istituire un osservatorio. Osservatorio al quale però potranno partecipare associazioni che non siano formate da due tre persone, escludendo a priori la partecipazione dei singoli cittadini. Per tale impegno non s’è fatto alcun riferimento a: specificità professionali.
Suppongo che le associazioni devono essere iscritte all’albo e quindi beneficiarie di contributi pubblici. Si vuole forse in futuro ratificare decisioni prese in segrete stanze?
Gli autori dell’articolo tentano di invalidare, il lavoro fin qui svolto, adottando metodi ampiamente sperimentati e consolidati nella nostra città, con l’uso abuso della solita tiritera: “Le cause di tale defaillance si attribuiscono essenzialmente ad una esasperata insofferenza della popolazione pressata da problematiche di sopravvivenza che perdurano ormai da anni…” Frase che si ripete puntualmente quando non si riesce ad argomentare in modo appropriato i motivi dei clamorosi ripetuti fallimenti che provocano, tra i cittadini, pesanti sfiducie nelle istituzioni. In queste occasioni si usa sfoderare la sempre attuale spada di Damocle. Vessillo della latente formula del ricatto occupazionale in una città dove, alternativamente, si propagandano nuove ere di benessere collettivo per poi precipitare ingannati e divorati dai bisogni. Così è successo con l’insediamento dell’industria Chimica in un territorio ameno con ben altre vocazioni; è successo con la tanto acclamate reindustrializzazione e la storia si ripete con la vicenda Energas.
Gli autori dell’articolo, scientemente e artatamente, preferiscono eludere il vero problema della scarsa partecipazione a quello che loro definiscono: Un flop la presentazione della ricerca epidemiologica. Se questi venissero pervasi, qualche volta, dalla capacità di fare un po’ di autocritica, forse riuscirebbero ad ammettere che la scarsa partecipazione dei cittadini alla vita pubblica e sociale è determinata principalmente da due fattori: sfiducia nelle istituzioni e paura di essere esclusi dai circuiti consolidati del mercimonio e dei clientelismi.
Chi viene preso per fame perde la fiducia nel prossimo, nelle istituzioni e si annulla rinunciando alle proprie capacità propositive e di lotta. Si rifugia nello sconforto, nell’indifferenza e l’unica reazione propositiva che adotta è la ricerca del magnate che risolva i problemi suoi e/o dei propri cari.
Sono questi, a mio avviso, i veri mali di una società che si arrabatta cercando di sopravvivere in un sistema mercificatorio e clientelare, dove si produce e si alimenta sfiducia, l’allontanamento dalla vita sociale e politica favorendo il disfacimento di ogni residuo sintomo di moralità e onestà.
Per dovere di cronaca, il progetto partecipato era partito con una nutrita partecipazione di singoli cittadini e associazioni che man mano si sono defilati per i motivi innanzi descritti. Era questo l’obiettivo da raggiungere per screditare e demolire la ricerca partecipata?
La bizzarria di questa vicenda è che gli illustri produttori di continui attacchi e gratuite polemiche fingono di ignorare che, se l’indagine è un flop, la responsabilità non è di chi lavora gratuitamente al progetto: il sedicente coordinamento cittadino. La responsabilità è esclusivamente del committente che ha inteso spendere 300 mila euro dei cittadini per qualcosa che interessa pochi intimi.
Pino Delle Noci