Martedì 19 Novembre 2024

Saviano in una intervista a Repubblica cita i due fratelli manfredoniani Nasuto

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I nuovi schiavi della terra, l’accusa di Saviano: “Mafia alleata delle aziende conserviere”

di ANTONIO DI GIACOMO

Intervista allo scrittore autore di “Gomorra” dopo la morte della bracciante Paola Clemente nelle campagne di Andria vittima della nuova frontiera del caporalato

“I legami tra caporalato e mafia sono storici”. A ricordarlo è lo scrittore Roberto Saviano, che interviene così in un dibattito che, macchiato del sangue dei braccianti morti nelle campagne pugliesi, è balzato al disonore delle cronache non solo italiane. “Va detto, e non per essere bastian contrario che – osserva Saviano – l’opinione, condivisibile, del ministro Martina che ha paragonato il problema del caporalato a quello della mafia colpisce. Perché ad oggi il governo non è intervenuto in nessun modo reale sul caporalato. Il solo risultato ottenuto è grazie a Yvan Sagnet, l’immigrato e ingegnere camerunense che ha fatto introdurre il reato di caporalato grazie a una battaglia condivisa con i sindacati. Da lì bisognava partire, ma non è stato fatto. Bene allora che ci sia la posizione del ministro, purché non sia di massima, visto che purtroppo ha avuto bisogno dell’ennesimo morto per essere innescata”.

Saviano, ma qual è la strategia per sradicare il caporalato dalle campagne?

“Il caporalato si può risolvere soltanto con nuove condizioni di lavoro e di contratto. Con contratti stagionali, garantiti, dando la possibilità di permettere alle aziende di trarre vantaggio dalle assunzioni e non spingerle ad essere oneste per un comportamento morale. Nessuna azienda, nessun imprenditore, sarà giusto e morale se non è conveniente esserlo. Quindi è necessario assicurare flessibilità nelle assunzioni, ma soprattutto costruire dei controlli capillari attraverso delle agenzie sul territorio in grado di chiamare manodopera ma anche di controllarla sul posto di lavoro stesso senza macchinosità burocratiche. Garantire acqua, un minimo di assistenza e la possibilità di un lavoro in condizioni dignitose: questo è il punto. Non stiamo chiedendo l’impossibile: altrove è così. Bisognerebbe guardare al modello californiano per la produzione di pomodori che è vincente, d’altronde gli americani sono proprio i maggiori produttori al mondo. E non stiamo certo parlando di un paese sottosviluppato con manodopera a costo zero. Si cambia trasformando le regole, cercando di introdurre nella legalità la mediazione. Quella che ha la grande azienda conserviera e i gruppi che direttamente operano sul territorio per la raccolta di pomodori. Ma se non si responsabilizza l’azienda conserviera non si otterrà mai alcun risultato”.

Ma c’è differenza fra braccianti italiani e stranieri?

“Spesso il lavoratore straniero ha una formazione culturale più alta di quello italiano. Ed è per questo che accede alla possibilità di denunciare: conosce le lingue e il diritto, si tratta infatti in molti casi di laureati, e in secondo luogo non avendo legami territoriali non teme ritorsioni sulla famiglia, a differenza dei braccianti italiani”.

Che effetto le fa pensare che nella terra di Giuseppe Di Vittorio il capolavoro sia vivo e vegeto come se nulla fosse mai accaduto?

“Non mi stupisce affatto. Vengo da un territorio dove c’è Villa Literno, la terra dei pomodori, e dove se ancora regge l’economia è perché esiste il nero. Il crimine e l’economia illegale sono la spina dorsale economica di questo Paese: se il Sud non è affondato è perché c’è il lavoro nero, il caporalato, il traffico di droga e il riciclaggio. Se domani sparisse l’economia criminale sparirebbe la possibilità di vivere nell’Italia meridionale. Se domani tutti dovessero assecondare leggi e obbedire ai vincoli burocratici non si muoverebbe foglia. Ora tutto questo non si combatte con le sole prese di posizione etiche, ma permettendo alle aziende che impiegano lavoro nero di entrare nel sistema legale. Se tutto invece diventa macchinoso, impossibile, costoso e complicato si frena la possibilità di fare impresa e, allora sì, che si andrà sempre sull’illegalità. In una situazione del genere, il paradosso è che i lavoratori saranno non contenti ma necessariamente inclini a una prassi illegale di lavoro perché non c’è un’alternativa”.

La procura di Trani, intanto, ha iscritto nel registro degli indagati il titolare dell’azienda agricola dove il 13 luglio moriva una bracciante.

“L’inchiesta di Trani è certamente un passo positivo. Assodato questo si delega come sempre alle procure, sui magistrati vengono riversate le speranze di cambiamento delle cose. Ma la giustizia è solo una parte del cambiamento, spesso minima: sono la politica e la cultura che cambiano le cose. Questa indagine ora interessa un’azienda agricola, ma le imprese sono semplicemente le cinghie di trasmissione dei grandi gruppi conservieri. Sono loro i responsabili di queste condizioni, ma non lo sono legalmente: sono troppo furbi e le loro squadre di legali sanno benissimo come allontanare le responsabilità penali e civili dell’azienda dai braccianti. Ne sono responsabili politicamente e culturalmente. Chissà magari ci sarà qualche magistrato che avrà l’abilità e la possibilità di rinviare a giudizio e di processare le aziende conserviere, ma non è nemmeno quella la soluzione. Il punto dovrebbe essere l’indignazione, il boicottaggio delle aziende che si comportano in questo modo e la possibilità, perché no, di discutere con queste imprese. C’è un lavoro ottimo che hanno fatto i fratelli Nasuto, che sono pugliesi e trovo due talenti geniali nella documentaristica: stanno realizzando un documentario, Kosmonauts (cosa significa essere italiani) , dove raccontano fra le altre cose la Puglia dei pomodori, confrontandola peraltro proprio con la California. Consiglierei al ministro Martina di convocare questi due ragazzi, e lo scrittore Alessandro Leogrande, per guardare il loro lavoro documentaristico e capire quanto si possa imparare dall’esperienza internazionale per rendere quella ricchezza non il frutto del sangue e del saccheggio”.

Ma il caporalato, alla fine, è un problema tutto pugliese o, più in generale, questione meridionale?

“E’ ovviamente questione nazionale. Il mercato del pomodoro in Italia, concentrato soprattutto in Campania e Puglia, fattura oltre tre miliardi di euro: una cifra immensa e il governo non può ignorare come vengono fatti questi soldi. Quanto alla Puglia ha un unico destino: deve porsi il problema della risoluzione del caporalato come obiettivo civile ed economico, senza avere il timore di sentirsi sporca, così come ha fatto talvolta rivendicando di essere una terra diversa nel Sud, cosa pure vera visto la Puglia ha diversi elementi di miglioramento democratico e imprenditoriale. E’ questo il compito della Puglia e molti intellettuali l’hanno assolto, come il su citato Alessandro Leogrande con il suo lavoro egregio in Uomini e caporali , un libro fondamentale per capire tutta questa storia “.

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