Il Difensore Civico è un istituto giuridico mutuato in Italia dalla figura dell’ombudsman, apparsa in Svezia con la Costituzione del 1809. E qui, possiamo azzardare, finisce la comparazione con la Svezia. Il Difensore Civico sarebbe un garante posto a tutela dei cittadini, un corpo intermedio tra essi e la Pubblica Amministrazione, con la funzione di accogliere i reclami del corpo sociale riguardanti le storture della macchina amministrativa. La Finanziaria del 2010 abolì il Difensore Civico comunale e al momento resta la sola rete dei Difensori regionali. La storia del D.C. a Manfredonia è uno dei tanti esempi di come la politica non abbia interesse a tradurre in concreto delle buone idee, condannate a restare astrazioni di carta. Il primo tentativo di traghettare questa figura tra le istituzioni sipontine risale all’amministrazione Prencipe: allora il regolamento comunale prevedeva che il D.C. fosse eletto dalle associazioni cittadine, dunque ne sarebbe risultato un rappresentante del territorio con una certa autonomia dall’apparato amministrativo. Dette associazioni designarono a maggioranza bulgara l’Avv. Raffaele Pio Di Sabato, il quale però non iniziò mai il suo incarico. A Palazzo San Domenico si preferiva scegliere da sé il proprio “controllore”. Detto fatto: il regolamento viene cambiato e “il Difensore civico è eletto dal Consiglio Comunale”. Finalmente, il 15 settembre 2006 (secondo mandato Campo), presta giuramento il nostro primo (ed ultimo) Difensore, l’Avv. Vittorio Labellarte. Nella sua prima relazione annuale (anno 2007), Labellarte denuncia la noncuranza dell’amministrazione verso la sua funzione istituzionale e addirittura la mancanza dei mezzi necessari per espletarla. Per chiarirci, non poté stampare dei semplici dépliants per portare a conoscenza scuole ed Enti del ruolo del D.C. e dice che “allo scrivente non è stato fornito un mobile per ufficio che è uno; non è stato procurato uno straccio di computer né è stata assegnata un’utenza telefonica, con relativa impossibilità di ricezione e spedizione di fax e con assenza di posta elettronica”. Senza mobilia, telefono, fax, e-mail, con una collaboratrice fittizia impegnata in realtà all’assessorato alle attività produttive, per Labellarte sarebbe stato più facile camminare sulle acque che non fare il Difensore Civico di Manfredonia. Un’esperienza nata male e finita peggio, inficiata dalla voluta assenza di collaborazione della classe politica, interessata a non rendere efficiente e imparziale una figura che avrebbe potuto costituire un ponte tra la cittadinanza e l’autoreferenziale P.A. Eppure, non dovremmo dotarci davvero di un organo di tutela con competenze e mezzi adeguati, magari espresso dal mondo delle associazioni, che vigili sull’attività amministrativa?
Massimiliano Rinaldi