Domenica 22 Dicembre 2024

Lo scandalo del “Don Uva”:quel manicomio che si ripropone nell'Istituzione e dentro di noi SECONDA PARTE (di S. Cavicchia)

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Il diritto alla cura nel proprio ambiente di vita ed all’accoglienza nella comunità

Seconda parte

Tutto bene quindi per la Chiesa. Non proprio. Il problema nasce quando questo processo spontaneo, volontario, di carità si istituzionalizza: è il caso del “Don Uva”. Da questo punto di vista lo scandalo del “Don Uva” nasce formalmente nel 1978, con la Legge Basaglia, poiché non solo ci si è adeguati a fatica alla nuova normativa, con molte resistenze e lentezze, non solo è stata parziale la sua trasformazione in servizio di cura delle persone nel loro ambiente domiciliare e quotidiano di vita, ma soprattutto non è riuscita a mantenere nelle nuove condizioni e nelle nuove forme lo spirito e la funzione originaria di essere al servizio dei poveri, pronto a lenire le sofferenze dei disagiati mentali nel loro contesto comunitario.

La burocratizzazione nella gestione della struttura e la necessità di recuperare finanziamenti tramite il convenzionamento con l’Ente pubblico ha fatto diventare dominante il ruolo e la logica della politica, per lo più clientelare, familistica ed affaristica. Si è così quasi annullata la funzione originaria di tale servizio che per avere un senso doveva ritrovare un rapporto più diretto con l’utenza e la comunità in cui è inserita, più che con il potere politico-istituzionale. Il dio denaro è entrato in gioco ed ha stravolto tutto.

Qui c’è il primo scandalo e limite: la perdita della sua missione originaria e dello spirito del suo fondatore. Questa è la responsabilità della Chiesa Locale: possibile che nel momento in cui ci si istituzionalizza si debba perdere quella spinta propulsiva originaria e ridursi progressivamente alla gestione burocratica di un servizio dimenticando le persone a cui ci si rivolge? Ciò che un tempo era un bene poi è diventato altro. Possibile che quella spinta interiore, quell’entusiasmo, quella passione che è Carità ed Amore, quella fede, non solo in senso religioso ma nel senso tutto umano di fiducia in se stessi e negli altri, che solo può dare accoglienza, debba esaurirsi automaticamente e non possa essere mantenuta e rigenerata?

Il manicomio è ancora nelle Istituzioni e dentro di noi?

In tal senso, forse, in realtà lo scandalo del “Don Uva” nasce molto prima del 1978. L’ispirazione cristiana della “Casa di Cura Divina Provvidenza”, doveva e poteva anticipare la Legge Basaglia, poiché aveva nella propria storia e natura, al proprio interno, quei valori di fondo e di accoglienza alla persona che ne sono il fondamento. Perché questo non è avvenuto? La critica sociale alle Istituzioni manicomiali come luoghi che in realtà non curano efficacemente i disturbi mentali, ma rischiano di cronicizzare ed aggravare le condizioni psichiche del ricoverato, avrebbe potuto e dovuto essere anticipata dalla stessa congregazione religiosa, proprio per lo spirito originario che aveva fatta nascere e guidato tale opera sociale, ricca di umanità, accoglienza ed attenzione alle persone sofferenti. La consapevolezza del carattere inumano del manicomio e la convinzione che molti disturbi psichici dovevano e potevano essere curati fuori dal ricovero nell’ambiente domiciliare di vita, avrebbe dovuto e potuto essere un elemento profetico dello spirito evangelico che era alla base della nascita di tale struttura e servizio, come è stato in altri contesti. Poiché non bisogna mai dimenticare che cosa succedeva nei manicomi, mai. Tanto che si è scritto e documentato come la loro esistenza fosse paragonabile ai Lager, dove si perdeva ogni umanità, nonostante la grande bontà delle suore e la professionalità di tanti medici ed operatori. “Qui dentro si vive un lungo letargo….qui dentro il dolore è un ospite usuale, ma l’amore che manca è l’amore che fa male”, così dice Alda Merini. E vengono in mente tante immagini. Chi e quanti, oggi adulti, anziani, ricordano la testa rapata di un fratello, figlio, amico, parente o sconosciuto, di un corpo legato davanti ad una porta, semi sveglio ed abbandonato a se stesso, quasi per terra, nudo dentro un camice lungo, bianco, sporco, come un cane semicosciente a far la guardia ad un niente desolato. Come non provare un’angoscia insostenibile, una terribile spina nel cuore, dolore, ripensando a tali immagini. Dove era l’umanità? dove era il messaggio di Cristo? No! Cristo si era fermato fuori da quel cancello.

Questo è lo scandalo che segna profondamente e resta indimenticabile. Possibile che quando un servizio si istituzionalizza debba perdere la propria Anima? Come è possibile evitarlo? E questo riguarda tutte le Istituzioni operanti nella Chiesa, ma anche nel pubblico e nella stessa società civile.

E’ necessaria la rigenerazione continua dello spirito originario di servizio alle persone sofferenti.

Vogliamo, per cortesia, dare spazio e centralità alla rendicontazione ed al controllo sociale, alle reti associazionistiche e di solidarietà, alla partecipazione delle famiglie coinvolte e della comunità tutta; vogliamo, per favore, attivare quella formazione continua su se stessi e/o tutti quei necessari meccanismi di rigenerazione personale e di gruppo che soli possono garantire l’attenzione alla centralità della persona. In tal senso la Chiesa Locale si trova di fronte ad un bivio: come mantenere e diffondere la propria missione evangelica di essere Amore-Caritas per i sofferenti e contemporaneamente integrarsi e rapportarsi con la società civile e laica e con il potere politico-istituzionale, rigenerando e mantenendo vivo nelle opere sociali lo spirito originario. Ben vengano allora le profonde riflessioni di M. Illiceto ed F. Parisi, autorevoli uomini impegnati nella Chiesa Locale; ma non è forse anche necessaria una riflessione di fondo nelle stesse congregazioni religiose, con tutte le cautele del caso, in un’ottica non solo di autodifesa ma di proposizione attiva e positiva, nelle comunità parrocchiali e da parte di chi presiede, dei nostri Vescovi, indipendentemente dalla Chiese Locali di appartenenza, evitando che il silenzio pubblico sia così assordante da stordire ogni spinta interiore? Abbiamo bisogno di fede e di fiducia.

Silvio Cavicchia

Sociologo e Ricercatore sociale del Centro Studi e ricerche “Eutopia”

silviocavicchia@gmail.com

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  • quanta retorica in quelle domande, neanche un accenno all’immenso impegno di Papa Bergoglio (bensi a autorevoli uomini impegnati nella Chiesa Locale)e dulcis in fundo, la sconfortante richiesta di “spazio e centralità alla rendicondazione e al controllo sociale” cioè alla burocrazia, all’esclusione e istituzionalizzazione delle persone con diversità, fine ultimo delle così dette “istituzioni totali” che niente hanno a che fare con l’impegno sociale della Chiesa (fede) o con le politiche di wellfare degli stati (fiducia).

    pino 02/07/2015 17:29 Rispondi

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