Prima parte
Lo scandalo del Don Uva, storica Istituzione di ispirazione cristiana al servizio dei sofferenti mentali del nostro territorio, ci deve spingere a riscoprire il senso profondo e la radicalità del messaggio evangelico e, contemporaneamente, a capire perché i servizi e le attività dalla parte ed a favore dei più deboli, nel momento in cui si istituzionalizzano perdono gradualmente nel tempo quella umanità, quella spinta interiore all’accoglienza che è alla loro origine, fondata sulle reti naturali di solidarietà sociale. Lasciando nelle mani degli organismi giudiziari competenti il compito di indagare, giudicare ed eventualmente condannare, a noi cristiani, laici, cittadini della Capitanata, spetta il dovere di interrogarci, dentro e fuori la Chiesa, anche perché lo scandalo del Don Uva rappresenta la perdita, la distruzione di risorse economiche, umane e professionali per la parte più debole della società e, quindi, un ulteriore impoverimento per tutto il territorio.
In tal senso il Don Uva è solo la punta dell’iceberg, di una questione più generale che tocca tutte le Istituzioni, in particolare quelle che operano nell’ambito dell’assistenza, sanità e servizi sociali, dalle ex IPAB (oggi ASP), agli ospedali, alle strutture residenziali per minori, tossicodipendenti, immigrati, disabili ed altro.
Il Welfare, in Italia e nei nostri territori, è frutto dell’integrazione progressiva tra le opere assistenziali e caritatevoli della Chiesa e i diritti conquistati dalle lotte socio-politico-sindacali del movimento operaio. Da questo intreccio tra beneficenza cristiana e diritti sociali si è costituito, soprattutto a partire dagli anni ’70, un Welfare State di tipo prevalentemente istituzionale, pubblico, universale, cioè rivolto a tutti i cittadini in quanto tali.
La Chiesa e le opere sociali
La Chiesa Locale, parallelamente e sussidiariamente, ha mantenuto e continuato a sviluppare (nonostante l’assorbimento di tantissime sue opere ed Istituzioni sociali dentro la pubblicizzazione statuale) in modo autonomo la sua azione a favore dei più deboli, di tutte le persone in difficoltà, emarginate e marginali poiché questo è il centro del messaggio evangelico. Le comunità parrocchiali hanno continuato e continuano a svolgere opere di servizio sociale, tanto più in questo momento storico di impoverimento economico e relazionale e di crisi del Welfare State istituzionale.
Le testimonianze e gli esempi in tal senso sono tanti, e certamente senza la presenza di tali opere sociali la qualità di vita dei nostri territori sarebbe molto più fragile e povera. La Chiesa Locale, anche se in modo diversificato nelle diverse Diocesi, è fortemente cresciuta in questi anni di crisi nel rispondere più e meglio alle povertà del territorio, mettendo al centro della propria azione ed attenzione non solo la singola persona in difficoltà, ma le famiglie fragili, quindi, un soggetto collettivo e costitutivo della coesione e solidarietà sociale. Emblematico è, nella Diocesi garganica (Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo) il ruolo e lo sviluppo della Caritas diocesana che, soprattutto in questi ultimi venti anni, ed a partire dalla nascita dell’Osservatorio delle Povertà e Risorse del Territorio, si è così fortemente estesa, quantitativamente e qualitativamente, tanto da essere presente in ogni comunità parrocchiale, allargando l’ottica e lo sguardo del suo operare non solo all’assistenza economica, sanitaria, alimentare e vestiaria, ma istituendo centri di ascolto che consentissero una vicinanza alle problematiche relazionali dentro e fuori la famiglia, che tanta sofferenza produce, oltre a nuove iniziative nell’ambito del sostegno alle vittime dell’usura e della delinquenza organizzata. Altro esempio specifico alla problematica in esame, è la presenza e il tipo di intervento di alcune comunità parrocchiali a favore dei sofferenti mentali. Oltre a svolgere un ruolo di collegamento tra il bisogno delle persone e quelle strutture che in modo più appropriato possono soddisfare tale bisogno, le attività maggiormente svolte a favore delle persone disagiate sono di sostegno psicologico e morale, di aggregazione e inserimento in gruppi, attività culturali e sportive. Tutte queste prestazioni vengono effettuate per lo più da volontari e, forse, sono tra le poche presenti nel territorio, tese alla non ghettizzazione e stigmatizzazione di queste persone, al loro inserimento sociale, pienamente e spontaneamente coerenti con l’obiettivo centrale della Legge Basaglia: il diritto alla cura nel proprio ambiente di vita.
Nella seconda parte verranno evidenziate le contraddizioni, le incoerenze ed i limiti delle opere sociali della Chiesa, dello Stato, della Società Civile, nel momento in cui tali opere si istituzionalizzano, perdendo l’anima e lo spirito originario di chi le ha promosse e fondate. Da ciò si determina quella chiusura oppressiva e quella perdita di senso, quel nuovo manicomio che si ripropone nell’istituzione e dentro di noi.
Silvio Cavicchia
Sociologo e Ricercatore sociale del Centro Studi e ricerche “Eutopia”
silviocavicchia@gmail.com
http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2015/02/i-poveri-matti-del-vaticano.html