In occasione della giornata per la santificazione dei sacerdoti, S.E.Rev.ma Mons. Michele Casstoro arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, ha celebrato,nell Grotta di San Michele Arcangelo di Monte Sant’Angelo, il suo 10° anniversario della sua consacrazione episcopale. Una cerimonia molto emozionante, durante la quale si è festeggiato il 50 esimo anno di ordinazione di don Franco De Finis ed il 25° di don Nicola Cardillo, don Salvatore Ranieri e don Luca Santoro.
L’OMELIA pronunciata da Mons. Michele CASTORO nel X anniversario della sua Consacrazione episcopale
1. Ancora una volta, a conclusione dell’Anno pastorale, ci siamo dati appuntamento in questa suggestiva grotta, pervasa dalla soave presenza dell’Arcangelo, per celebrare la Giornata della santificazione dei sacerdoti, una celebrazione di ringraziamento e di lode. La lode è la danza del cuore e il ringraziamento è il gioioso riconoscimento che tutto quello che siamo è solo un grande dono di Dio.
E’ una occasione, dunque, per condividere la gioia della nostra consacrazione. Nella II Lettura di oggi l’Apostolo ci ha esortato “a piegare le ginocchia davanti al Padre…, perché ci conceda… di essere potentemente rafforzati nell’uomo interiore mediante il suo Spirito”.
Carissimi Don Stefano, Vicario generale, Don Andrea Starace, Vicario generale emerito, sacerdoti diocesani e religiosi!diaconi, religiose e seminaristi!fedeli e pellegrini!
Ringrazio tutti per la vostra presenza, in particolare Padre Ladislao e i Padri Michaeliti che, come sempre, ci accolgono con cordiale fraternità.
Ringrazio poi padre Franco Annicchiarico che ci ha dettato una bella riflessione spirituale e don Luca Santoro che, a nome di tutti, ha voluto esprimermi gli auguri per il X anniversario della mia consacrazione episcopale. Auguri che rivolgiamo tutti insieme ai confratelli che ricordano quest’anno il loro giubileo sacerdotale: Don Franco De Finis, Don Nicola Cardillo, Don Salvatore Ranieri e lo stesso don Luca Santoro. Sentiamo presenti anche i Confratelli anziani ed i nostri seminaristi, che anche quest’anno – a motivo della sessione degli esami ancora in corso – non possono essere qui con noi. E’ in questo contesto che avremo la gioia di istituire Lettore il giovane Fabrizio Cirelli, della fraternità dei Ricostruttori, al quale facciamo i nostri più cordiali auguri ed assicuriamo preghiere.
Oggi vogliamo anche ricordare con animo grato e orante il compianto Mons. Vincenzo D’Addario, già nostro Arcivescovo, del quale il 1° dicembre prossimo ricorrono i 10 anni dalla morte, prematura e improvvisa. Egli ha guidato con prudenza e saggezza la nostra diocesi garganica per dodici anni, prima di servire con altrettanto zelo la diocesi di Teramo-Atri. Preghiamo per lui perché il Signore lo abbia in gloria.
2. Carissimi Presbiteri, il Messale ci fa pregare per i sacerdoti perché siano «degni ministri dell’altare, annunziatori forti e miti della parola che ci salva», così la Colletta per le Vocazioni sacerdotali. Confrontiamoci con questi aggettivi usati dalla liturgia. Siamo veramente ‘degni’ del ministero affidatoci? E chi può esserlo? E’ per la misericordia di Dio che siamo sacerdoti!
E cosa diciamo dell’essere ‘forti e miti’? In questi tempi, quante nostre fragilità stanno venendo a galla! Le strutture che in passato le nascondevano e le camuffavano sono venute meno. Anche la protezione sociale nei nostri confronti si è molto attenuata. La struttura esterna deve essere oggi sostituita con l’energia interiore, che solo lo Spirito può darci. Non di stampelle, ma di spina dorsale abbiamo bisogno.
Occorre, dunque, prendere coscienza del dono ricevuto, ma occorre prendere coscienza anche delle responsabilità che nascono da questo dono.
Gesù dice a noi come agli Apostoli: “Vi ho chiamati amici, rimanete in me!”. Come è solenne la parola amici e come è struggente l’invito a stare in questa amicizia! Ricordiamolo tutti, solo l’amore ci fa pensare come chi ci ama, solo l’amore ci libera dall’essere faccendieri del soprannaturale, solo l’amore ci dà passione vera, solo l’amore ci libera dalla stanchezza del fare.
La stanchezza che appesantisce il cuore di noi preti spesso è addebitabile, oltre al carico di lavoro pastorale, al fatto che “ciò che non si ama, stanca”.
Dice Papa Francesco che esiste una “stanchezza sana” che il riposo riesce ad ammortizzare, ma c’è anche una “stanchezza di se stessi”, estremamente pericolosa, che alimenta il peso della “malinconia pastorale”.
L’amicizia con Cristo è la nostra grandezza, questa è la nostra prima responsabilità, avere in noi la Sua amicizia, vivere in Lui, stabilire la vita in Lui.
Miei Cari, noi sacerdoti siamo delle persone benedette. Nessun altro, come il sacerdote, ha tanta gente che prega per lui! Gente semplice, umile e nascosta; di alcuni non sapremo mai nulla. Nessuna vocazione, come quella al sacerdozio ministeriale è frutto delle preghiere di tante anime buone.
Sono qui per dirvi grazie per la vostra generosa quotidiana dedizione e per il buon esempio che date a me e al popolo di Dio.
Sì, sono a riconoscere la vostra generosità e vi invito ad essere sempre lieti per la scelta fatta.
E’ vero, non mancano preti generosi ma scarseggiano preti gioiosi, che si donano “senza paura e senza misura”, cioè senza fare troppi calcoli e troppi confronti.
3. Miei Cari, Papa Francesco ce lo ripete spesso: «Se ci allontaniamo da Cristo, finiamo per compensare questo distacco con altri atteggiamenti … mondani. E così, il prete finisce per diventare tante altre cose (impiegato, imprenditore, organizzatore…) ma non è più il prete di Gesù Cristo, il prete che adora Gesù Cristo, il prete che parla con Gesù Cristo, il prete che cerca Gesù Cristo e che si lascia cercare da Gesù Cristo: questo è il centro della nostra vita. Se non c’è questo perdiamo tutto, E cosa daremo alla gente?». Sono parole di Papa Francesco.
Ecco perché il mondo è fuggito da noi e noi ci lamentiamo che è diminuita la gente che viene in Chiesa… Ci sono sfuggiti gli uomini e le donne, ci sfuggono i giovani… perché forse non viviamo per loro.
Invece, quante volte noi presbiteri, uscendo dalla porta delle case dei nostri fedeli, dopo aver toccato con mano la croce portata con estrema dignità e umiltà, avvertiamo come una spinta interiore a ridimensionare i nostri problemi, le nostre inevitabili croci.
4. Cari Confratelli, sento perciò di poter e dover chiedere, con semplicità ma anche con forza e convinzione, di coltivare intensamente il nostro rapporto personale col Signore, di vivere una sincera comunione col Vescovo e fra di noi e di impegnarci in maniera sempre più coinvolgente ed anche creativa nel servizio del popolo di Dio. Lo sappiamo e lo viviamo già: sono le tre dimensioni costitutive del nostro sacerdozio.
Alla base, quale relazione fondamentale, c’è l’amore al Signore, quell’amicizia con Lui che ci ha fatto decidere di seguirlo accogliendo il suo invito al ministero e che è venuta crescendo proprio nell’esercizio di esso. Senza questa amicizia con il Signore non ci può essere gioia nella vita di un prete. Anche il nostro celibato può essere vissuto in pienezza solo in un sentimento di appartenenza incondizionata e sempre rinnovata al Signore Gesù.
La seconda relazione vitale è con gli altri sacerdoti e con il Vescovo. Sì, vi prego: guardate al Vescovo, pur con i suoi limiti, come a un segno vivo del Cristo unico Pastore delle anime nostre e scorgete nelle sue decisioni e nei suoi consigli un’indicazione del Signore stesso. E vivete l’appartenenza al presbiterio cogliendo, nella fede, l’unità che tra tutti i suoi membri fonda lo stesso Signore Gesù e valorizzando come ricchezze le differenze che non possono non esserci. Papa Francesco ai vescovi nominati nel corso dell’anno, il 18 settembre 2014, così diceva: “Ci sono tanti preti che non cercano più dove abita il Signore, o che dimorano in altre latitudini esistenziali, alcuni addirittura nei bassifondi. Altri, dimentichi della paternità episcopale o magari stanchi di cercarla invano, ora vivono come se non ci fossero più padri o si illudono di non averne bisogno”.
Sia il nostro presbiterio un luogo di vere e profonde amicizie, una scuola di aiuto reciproco, una casa di correzione fraterna e un laboratorio di idee e di impegno per la trasmissione della fede alle nuove generazioni e l’annuncio del Vangelo a tutti.
Sì, perché la terza dimensione costituiva del nostro sacerdozio è la missione che ci spinge all’incontro con quanti il Signore chiama alla fede e nutre attraverso il nostro ministero. Testimoniamo la speranza che è in noi a chiunque ce ne chieda ragione. Siamo una ‘Chiesa in uscita’. Spendiamoci senza riserve per il Vangelo. Sia la carità pastorale la via della nostra realizzazione più vera.
Ed ora chiediamo al Signore, per intercessione dell’Arcangelo Michele, di concedere fecondità al nostro ministero, anche con una nuova capacità di proposta vocazionale ai giovani. Possano essi vedere in noi la possibilità di una vita bella e degna di essere vissuta, di una chiamata che venga dal Signore stesso per il servizio della sua Chiesa.
Così sia.
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