Venerdì 27 Dicembre 2024

La sofferenza e la salute mentale nei nostri territori: per affrontare tale questione che riguarda tutti, occorre una visione olistica ed un approccio sia tecnico che socio-culturale (di S. Cavicchia)

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Parte Seconda

Perciò occorre continuare sulla strada intrapresa da Basaglia, lottare contro le vecchie e nuove forme di manicomio, strutturale e culturale-antropologico. E’ necessario, in tal senso, una visione “olistica”, una visione d’insieme, un approccio pluralistico e multiprofessionale, contemporaneamente tecnico-scientifico e socio-culturale senza separatezza tra questi due momenti. Ciò significa intervenire in tre livelli principali: il livello socio-culturale, l’integrazione socio-sanitaria, le risorse economiche.

L’intervento al primo livello richiede una approccio multifunzionale, non riducibile alla sola e/o dominante medicalizzazione e residenzialità lunga dell’intervento terapeutico, il quale deve andare oltre quello farmacologico e strettamente sanitario, ma deve comprendere e fondarsi sulla prevenzione e riabilitazione, integrate con la domiciliarità. In Italia un modello di intervento di questo tipo è tutt’ora a Trieste dove con Basaglia è nata la psichiatria territoriale e comunitaria. Tale modello mette al centro il diritto alla cura nel proprio ambiente di vita, combatte ogni forma di cronicità del malato mentale, punta sul diritto al lavoro come mezzo principale di inclusione e reinserimento sociale, oltre che di rottura di pregiudizi e stigmatizzazioni. Trieste ha investito fortemente nella psichiatria territoriale; è una città dove i 4 CSM (Centri Salute Mentale) operano H24, con posti letto/casa, dove anche per breve tempo (un giorno) è possibile personalizzare la vita del ricoverato, stabilire e mantenere relazioni sociali come nel proprio domicilio, nella propria casa. E’ una città dove il CSM coordina gli interventi e le attività sul territorio, organizza un progetto di vita per la persona, a breve, mediante il recupero, ed a medio-lungo termine, mediante la riabilitazione ed addestramento, riacquisizione di abilità-relazioni sociali e competenze formative-professionali, che, nell’insieme, consentono il rientro ed il vivere quotidiano e normale nella società, qualità di vita che diventa stabile e strutturata tanto più se veramente si consente a queste persone l’esercizio del diritto al lavoro. Tale concezione olistica e modello operativo, pur essendo legislativamente e culturalmente diffuso tra gli addetti ai lavori a livello nazionale e generale, purtroppo nel nostro territorio (Manfredonia e Capitanata) per la scarsità di risorse a disposizione, non riesce a strutturarsi con tutta quella forza che sarebbe necessario. I CSM nel nostro territorio sono tutt’ora periferici, economicamente, fisicamente e simbolicamente, persistendo pregiudizio e stigma, e tante resistenze anche da parte delle Istituzioni pubbliche e dei decisori politici. Ad esempio a Manfredonia il CSM è aperto solo per 6 ore perché mancano risorse, mentre occorrerebbero almeno 12 ore di apertura.

E’ NECESSARIA L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA E LA REDISTRIBUZIONE DELLE RISORSE

A parità di risorse complessive disponibili una leva che dà forza a questa prospettiva è la concreta ed effettiva integrazione socio-sanitaria, a livello regionale con specifiche normative e la strutturazione unitaria del bilancio e delle politiche assessorili su Welfare e Sanità ma anche a livello più strettamente territoriale, nello specifico ambito dei Piani Sociali di Zona. Ci sono nel nostro territorio attività ed iniziative in questa direzione, ma sono ancora limitate e vanno, quindi, rafforzate ed ampliate, utilizzando tutte le risorse economiche, anche e soprattutto quelle non utilizzate a tutt’oggi. Il Welfare di comunità è strettamente da collegare, quindi, con la psichiatria territoriale, perciò vanno anche rafforzate tutte le attività in essere nell’associazionismo laico e religioso, in cui i volontari, insieme agli operatori professionali, rappresentano l’anello di congiunzione, il riferimento sociale, operativo e concreto di tale integrazione socio-sanitaria. Una iniziativa pubblica cittadina sul tema ad esempio “Gli Stati Generali dell’associazionismo sociale e professionale e la salute mentale”, darebbe un grande slancio in questa direzione.

Il terzo livello di intervento è quello della ridistribuzione delle risorse economiche. Sono circa 30 milioni di euro i fondi utilizzati nella provincia di Foggia, per promuovere diagnosi e cura della sofferenza mentale, di cui circa l’80% va alle strutture ospedaliere e residenziali, soprattutto private e spesso lobbystiche mentre solo il 20% è destinato ai servizi territoriali e comunitari. Lo status quo, l’abitudine è dura a morire, anche quando la ragione evidenzia con dati precisi e documentati l’assurdità della situazione, e la validità, anche economica, del cambiamento. A tale riguardo si pensi che per un ricovero ospedaliero si spendono 800 euro al giorno, nelle strutture residenziali tra le 100/150 euro, nei servizi ed attività di comunità molto meno, circa la metà. Perciò occorre riconvertire tale spesa, investendo maggiormente nella prevenzione e riabilitazione integrata con la domiciliarità.

I SOFFERENTI MENTALI: RICONOSCERNE I DIRITTI DI CITTADINANZA E LA LORO PIENA UMANITÀ

Il diritto alla cura nell’ambiente di vita ed il diritto al lavoro per queste persone sono il cardine per il loro inserimento sociale e la loro inclusione, per la lotta alla loro emarginazione, al pregiudizio ed allo stigma. Leggi avanzate ci sono ma non vengono attuate o sono fortemente disattese. Ad esempio esiste la Legge 68 per l’avviamento al lavoro protetto, ma nel nostro territorio è inattuata. Le stesse ASL, Comuni, Enti Pubblici, non hanno nessun disabile mentale che lavora presso i propri uffici. Occorre un sostegno continuativo a tali famiglie non solo di tipo economico ma un sostegno continuativo nella quotidianità del loro vivere, dimostrando che non sono sole ma c’è anche la comunità che si fa carico. Occorrono investimenti e sostegno per cooperative protette e privilegiate, senza strumentalizzazioni, per offrire possibilità di lavoro a queste persone. Ad esempio l’ortoterapia (e l’agriterapia) è una delle attività che sono e possono essere contemporaneamente terapeutiche, riabilitative, professionalizzanti. Perciò sarebbe utile, localmente e non, individuare ed assegnare terreni pubblici (e privati previa disponibilità di costoro a cui in questa sede si fa un appello) da cedere possibilmente in comodato gratuito per produrre beni e mettere in essere attività di vendita.

C’è la necessità di promuovere iniziative pubbliche di sensibilizzazione e di educazione alla salute mentale, anche al fine di interpretare per tempo i segnali di disturbo psichico che si manifestano sin dall’infanzia e dall’adolescenza e che potrebbero degenerare in forme patologiche. C’è la necessità di dare concreta attuazione per queste persone dei diritti di cittadinanza e, soprattutto, il riconoscimento pieno della loro umanità.

Silvio Cavicchia

Sociologo e Ricercatore Sociale del Centro Studi e Ricerche “Eutopia”

silviocavicchia@libero.it

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  • Ancora con sto Cavicchia!

    Nicola 11/06/2015 15:50 Rispondi

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