“ Il significato dell’ esistenza si acquista soltanto quando si lotta per strappare un significato al dolore senza senso”. Svoltasi nella serata di ieri, martedì 09 giugno 2015 alle ore 19:00, presso la sala consiliare di Palazzo Celestini in Manfredonia, la conferenza di presentazione di un ‘ ennesima e straordinaria fatica letteraria del professor Michele Illiceto, docente incaricato di Storia della filosofia moderna e contemporanea presso la Facoltà Teologica pugliese di Bari e presso l’ Istituto Superiore di Scienze Religiose “ San Giovanni Paolo II” di Foggia, nonché docente di storia e filosofia presso il Liceo classico “Aldo Moro “ di Manfredonia. Il “Talamo e la Tela “, ove il titolo enigmatico del testo rappresenta e spiega il contrapporsi di due forze vitali, quali l’amore ed il dolore, viene così raccontato attraverso le voci degli alunni del docente e dei relatori presenti nell’ occasione, quali Don Salvatore Miscio e Don Stefano Mazzone , la dottoressa Annalisa Caputo, docente di filosofia presso l’ Università degli studi di Bari, il dottor Vitulano, quale rappresentante dell’ Associazione Medici Cattolici di Manfredonia, per conferire all’ argomentare, anche un taglio tecnico dettato dal diretto contatto della scienza medica con la realtà del dolore, di fronte all’ attestato e dilagante aumentare delle malattie oncologiche ed al cronico dolore vissuto dai pazienti. Il testo, sin da subito palesa il suo carattere “ esistenziale”: è un libro coraggioso, dove lo stesso autore si denuda del proprio dolore , vissuto e spiegato nel suo carattere singolare ed universale, e dove il talamo e la tela divengono metafore stesse di amore e dolore, ove l’una è il correlato che rende possibile l’altra. Perché, nessuna legge può arginare il dolore dall’amore e nessuna legge può impedire all’ amore di farsi dolore. Dolore che nella sua valenza biblica e teologica, tradotto dalle dolci parole di Don Salvatore, diviene una sorta di “ camerino” dove tutti prima o poi entrano, sebbene bisognosi, per fronteggiare ed affrontare il quale, di indossare qualcosa di più consistente ed integro, se rivisitato alla luce della fede, della Croce di Cristo, ove, dinanzi al consumarsi di un dolore umano e divino, permane integra ed inconsueta una tunica, quella della fede. Non si tratta di una raccolta di poesie, né tantomeno di un trattato filosofico sul tema del dolore, perché nessun argomento filosofico potrebbe spiegare in modo alcuno una così forte tematica. L’obiettivo dell’ autore, come si evince sin da subito, è quello di porsi a metà strada tra filosofia e fede, attraverso l’ immancabile mediazione della poesia, conferendo, altresì ,ad un argomentare comunque filosofico, arricchito da citazioni di opere di autori che a queste tematiche hanno dedicato pagine importanti delle loro opere, una forte valenza culturale ed esperienziale. La risultante dalla lettura di queste pagine straordinarie, non è l’ additare una via per uscire dal dolore, bensì una via per imparare ad entrarvi, accettando quanto esso comporti: esilio, distacco, provvisorietà dell’esistenza . Ma, è proprio nel culmine del dolore, che si incontra l’amore”.
Il talamo e la tela, dolore ed amore, allora, uniscono il dentro ed il fuori, l’ altezza perduta ed il fondo rimasto, il lato debole di ciò che muore ed il lieve manto di ciò che nasce”. Il testo, nelle sue valenze filosofiche, teologiche, mistiche e poetiche, trae ispirazione dalla forte e viva esperienza maturata dal contatto diretto del professor Illiceto con una ragazza di nome Luciana, affetta da molti anni da sclerosi multipla e costretta a letto sin dall’ età di 18 anni. “Nei suoi occhi e nel suo corpo, ogni volta che mi dava il privilegio di incontrarla, ho trovato riparo per guarire dalla stupidità e vanità, dalla sterile lotta per acquisire beni solo di natura materiale , ma anche dallo scoraggiamento e dalla rassegnazione, dall’ egoismo e dal facile protagonismo di chi si sente padrone di tutto, dimenticando che invece siamo un impercettibile soffio che dura da mattina a sera. Il suo dolore mi ha disarmato, fino a spogliarmi di ogni mia certezza. Mi ha insegnato a riconciliarmi con la mia fragilità, a coesistere con le mie cadute ed a stare dentro la mia nudità. Mi ha obbligato a cercare non una via per uscire dal dolore, ma la porta giusta per entrarvi ed imparare a starvi , a volte da solo, altre volte in sua compagnia. Laddove lei era già entrata, io ero sempre in ritardo”.
Giulia Rita D’ Onofrio
Foto Patrizio Di Gennaro