E’ stato il tema affrontato dal prof. Filippo Maria Boscia, ginecologo, andrologo, direttore del Dipartimento materno infantile e fisioterapeuta della riproduzione umana presso l’Ospedale Di Venere di Bari e presidente nazionale dell’AMCI (Associazione Medici Cattolici Italiani), nel corso dell’incontro tenutosi il 22 aprile scorso presso l’Auditorium “Mons. V. Vailati” di Manfredonia.
La conversazione s’inquadra nel nutrito programma dell’Evento formativo di pastorale socio sanitaria. Un percorso di alta formazione all’impegno sociale, educativo e sanitario che l’Arcidiocesi Manfredonia, Vieste, San Giovanni Rotondo, con il patrocinio del’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Italiana e del Ministero della Salute, anche quest’anno ha voluto offrire agli operatori pastorali e a tutte le professionalità impegnate ed operanti nei Servizi Sanitari, Sociali, Educativi e Socio-assistenziali. L’evento organizzato in collaborazione con la “Casa Sollievo della Sofferenza” di S. Giovanni Rotondo, Opera di S. Pio, quale Provider, si articola in 18 workshop e consente ai partecipanti di ottenere 50 crediti formativi di Educazione continua in Medicina che si conclude con il rilascio di un attestato di formazione. A fare gli onori di casa il dott. Paolo Balzamo, responsabile scientifico e coordinatore dell’evento.
E’ seguito un breve intervento del dott. Giuseppe Grasso, presidente AMCI, sez. “V. Vailati”. Egli, dopo aver rivolto parole di ringraziamento al dott. Boscia per la sua preziosissima e autorevole presenza, salutato p. Aldo Milazzo (camilliano), direttore diocesano per la pastorale sanitaria, don Antonio D’Amico, assistente ecclesiastico dell’AMCI, i medici e il numeroso pubblico presente, ha introdotto l’illustre oratore. Difficile e contraddittorio il tema affidatomi – ha esordito il prof. Boscia. Cercherò di spiegare come la luce della cura porti all’ascolto del silenzio Può sembrare innaturale che una persona possa essere ascoltata se rimane in silenzio. Ma i due elementi si fondono. La risposta la troviamo in una bellissima frase che troneggia in alto, sulla porta della Cattedrale:”Non importa se intorno a te è buio. Inizia tu ad illuminare” Il buio e la luce, il silenzio e l’ascolto sono parte di un unico disegno che ci accompagna lungo il nostro percorso terreno. Non ci accorgiamo che molte volte rimanere in silenzio rinfranca lo spirito. Importante diventa quando attraverso l’ascolto della coscienza si riesce a portare luce al malato che sta per cadere nella voragine della malattia, anche tenendogli la mano. Il rapporto di vicinanza si trasforma così in atto d’amore per eccellenza che si trasmette a chi soffre, trasformandosi in luce nella cura. Ma il rovescio della medaglia, molto spesso, presenta ben altro e ci riferiamo alla mancanza del rapporto interpersonale tra il medico e il malato che sovente diventa difficile. Per la legge il medico ospedaliero, o di famiglia, può dedicare al paziente solo otto minuti. E’ la straziante realtà tra i cittadini, l’operato del medico e il paziente. Per sopperire a tali inconvenienti si richiede responsabilità, risposte e abilità del medico nei confronti dell’ammalato, elementi indispensabili perché si possa stabilire una relazione affettiva trai due. In questo contesto, tra la luce nella cura, attraverso la voce delle sofferenze, s’inserisce prepotentemente la fede che entra dentro la malattia quale palliativo alla stessa sofferenza. Non meno interessante anche la relazione del dott. Giovanni D’Errico, medico di famiglia e responsabile nazionale del Dipartimento Oncologico e Cure Palliative che ha parlato dell’assistenza domiciliare nelle cure palliative: “L’integrazione delle cure. come sola alternativa per salvaguardare la dignità dei pazienti incurabili – ha sottolineato l’oratore – trova oggi piena applicazione con la legge del marzo 2010 che consente al paziente l’accesso alle cure e terapie del dolore, ponendo il tema del dolore quale diritto irrinunciabile di un percorso terapeutico che tiene conto del valore della dignità della persona assicurando l’equità nell’accesso all’assistenza e all’appropriatezza rispetto alle specifiche esigenze del malato. Un salto di qualità dunque l’assistenza a domicilio, dove alla persona malata, oltre all’insieme degli interventi socio-sanitari e assistenziali, vengono garantiti l’erogazione delle cure palliative e di terapia del dolore coordinati dal medico di medicina generale. Viene così a crearsi una meravigliosa alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, dove scienza e carità si fondono in un unico afflato.
Matteo di Sabato