Mercoledì 11 marzo si è tenuto il settimo incontro formativo della Pastorale socio-sanitaria che ha visto come protagonista il relatore Prof. Padre Arnaldo Pangrazzi, professore straordinario e docente di Pastorale della Salute, Clinical Pastoral Education (CPE) al “Camillianum” romano che ha disquisito sul tema centrale “Educarsi a guarire le ferite della vita”. La lectio magistralis ha abbracciato vari ambiti della vita: quello lavorativo, sociale, sentimentale, familiare, amicale e comunitario.
Il professore ha esposto esaustivamente, illustrando con fervore le proprie esperienze educative e professionali vissute in tutto il mondo a contatto con studenti, malati terminali e familiari sofferenti per la perdita del proprio caro. Padre Pangrazzi sostiene che “Le ferite lacerano il corpo ma anche il cuore e la mente. L’importante è affrontare con forza e determinazione d’animo le avversità impegnandoci nel cicatrizzare le lesioni aperte per svariate ragioni: per malattia, divorzio/separazione, lutto, perdita del lavoro, perdita dell’autostima ed altro. Il male di vivere, definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come il male del secolo: la depressione secondo solo alle malattie cardiovascolari, uccide migliaia di persone in tutto il mondo.
Le cause sono svariate ed è possibile combatterle attraverso la forza che la Fede può donare a ciascuno di noi qualora non ci si lasci sopraffare dalla paura e dallo smarrimento di Sé”. Le istituzioni socio-sanitarie non possono orientarsi solo verso la cura del corpo ma possono, invece, concentrare gli interventi verso la cura della mente e dello spirito implementando un’adeguata educazione pastorale socio-sanitaria. L’operatore che ha seguito un processo formativo di self-help-relazionale proteso all’ascolto attivo e all’accoglienza può sostenere il paziente terminale e suoi familiari in modo efficace con un atteggiamento empatico e compassionevole. Continua Padre Pangrazzi “Qualunque tipo di ferita può portare con sé un’eredità di lacerazioni familiari ancora aperte. Occorre cicatrizzarle altrimenti porteranno altre ferite ai figli, ai nipoti e così via. Un es. può essere quello di una donna che ha sposato un alcolizzato vivendo la stessa ferita della famiglia di origine in cui il padre era un alcolista. Tanti possono essere gli esempi. L’esperienza della perdita di un figlio è terribile ma può essere superata qualora si trasforma il dolore in risorsa”. Racconta Padre Pangrazzi di aver conosciuto nel Salento una donna che perse il figlio a causa di un incidente d’auto e invece di martoriarsi nel dolore ha incontrato altre famiglie con le medesime esperienze che si sono aiutate a vicenda costituendo i gruppi di auto muto aiuto. I gruppi si sono diffusi abbracciando altri territori del meridione per sostenere altre famiglia. La ferita/la malattia può costituire una risorsa e non una fragilità qualora la si elabori con la giusta dose ti ottimismo affidando l’anima a Dio. Anziché inveire contro il Signore attribuendogli la colpa dei nostri mali si dovrebbero seguire dei percorsi per sanare le ferite della vita addestrando noi stessi verso un’agire proteso: alla preghiera, alla compassione, alla meditazione, al sacramento della riconciliazione e alla condivisone. Una massima di Inayat Khan sostiene “Noi siamo resi felici o infelici non dalle circostanze della vita ma dal nostro atteggiamento verso di essa”. L’egoismo conduce l’uomo moderno a pensare solo a soddisfare i propri bisogni. Di fronte agli insuccessi e alle varie ferite della vita ci si chiude in una profonda solitudine che acuisce di più la sofferenza. Le fragilità possono trasformarsi in forza e in risorsa quando condivise nella Comunità che soddisfa i bisogni espressi attraverso il “lavoro sociale di rete” operato dalle istituzioni insieme al Terzo settore.
Grazia Amoruso