Sono trascorsi quasi due mesi dagli attentati alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo, compiuto dai fratelli Kouachi, Said e Chèrif, in cui sono morte 12 persone, e al supermercato kosher, realizzato da Ahmed Koulibaly, che hanno sconvolto il mondo intero. Un lasso di tempo sufficiente per riflettere, con una certa dose di razionalità e senza forti afflati politici, sull’accaduto, avendo come meta ultima una generale riconsiderazione di tutte quelle sfide politiche e sociali che sono da tempo nelle agende dei nostri leader politici: in primis l’immigrazione ma anche quel comunitarismo troppe volte declinato in chiave nazionalista. Sfide del ventunesimo secolo che affondano tuttavia le loro radici nel passato.
Come sottolineato, nel corso di un seminario, organizzato dal dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Foggia, dal titolo “La Francia dopo la strage di Charlie Hebdo”, in cui prezioso si è rivelato l’intervento del professor Robert Etien, docente di diritto costituzionale e decano della Facoltà di Diritto; Scienze Politiche e Sociali dell’Università Paris XIII. Il potere detonatore dell’attentato, capace di scatenare nel cuore di tutti gli Europei una paura nell’altro, ormai distante dalle nostre menti dopo gli attentati alle torri gemelle dell’11 settembre del 2001, è stato, come sottolineato dal professor Etien, incommensurabilmente amplificato dal ruolo che, nel corso dei tesi giorni degli attentati, hanno assunto i mass-media. Un ruolo focale, imprescindibile. Non solo perché attraverso le più moderne apparecchiature tecnologiche si è arrivati ad una documentazione quasi simultanea dell’accaduto. Ma anche e soprattutto perchè è stato colpito un giornale che basava tutta la sua forza d’urto; tutto il suo ruolo di motore delle coscienze individuali, su delle caricature. Eccessive in molti casi ma pur sempre capaci di indurre l’opinione pubblica ad una profonda riflessione. Senza dimenticare che i mass-media hanno dato una specifica immagine della Francia post-attentato. Una nazione unita nel suo dolore; capace di vincere le difficoltà e pronta a marciare in difesa della libertà. Immagini vere a metà,però, ad avviso del professor Etiene. Infatti, la Francia, cultrice della libertà di stampa; delle idee rivoluzionarie tout-court, della laicità, sta vivendo una profonda crisi d’identità. La proliferazione di idee estremiste e xenofobe, in grado di celarsi dietro un certo conservatorismo di fondo, come quelle sostenute dal Front National di Marie Le Pen, stanno prendendo sempre maggior peso nei territori d’Oltralpe.
Parlare di comunitarismo, in un mondo sempre più globalizzato, non solo in una Francia multietnica e legata alla sua tradizione coloniale, non ha senso se viene trasformato in becera chiusura reazionaria. La riscoperta della comunità, per il professor Etien, non deve essere strumento di offesa; spada da puntare contro l’altro. Un altro che spesso non conosciamo o non vogliamo conoscere. È molto più opportuno cercare di risolvere razionalmente problemi quali quelli legati all’immigrazione. Senza respingere in maniera indiscriminata ma anche senza accogliere in maniera indiscriminata. Senza far trasformare il nostro paese in un bivacco (compiuto fra l’altro dai nostri civilissimi cugini olandesi) ma cercando di creare reti industriali ed assistenziali in loco, nelle terre sature di sofferenza da cui proviene la fiumana di immigrati che costantemente attraccano sulle nostre coste. Cercando di capire e non vietando aprioristicamente sulla base di presunte tradizioni cattoliche e italiane che noi, italiani e cattolici, siamo i primi a non rispettare, cosa si nasconde dietro un burqa. Se questa è una libera scelta di tante donne musulmane, che nei limiti delle nostre leggi possiamo accettare, oppure se esso è il massimo emblema dell’imposizione che una cultura forte come quella islamica e votata al senso dell’obbedienza impone loro. E senza vietare o limitare la costruzione di moschee in città italiane, permettendo allo stesso la presenza di luoghi ove possibile praticare un gioco d’azzardo onesto dinanzi a chiese ed oratori.
Se è pur vero che la crisi, come quella economica che stiamo vivendo, non aiuta ad essere accoglienti cerchiamo tuttavia di penetrare quel velo di diffidenza che ci separa dall’altro. Cerchiamo di comprendere che l’altro può ed è effettivamente una risorsa. Cerchiamo di capire che l’ignoranza è la radice di tutti i mali. E che il fanatismo che ha guidato le scellerate mani degli attentatori di Parigi è cresciuto nel tempo anche attraverso la miseria; l’ignoranza e l’assenza civilizzatrice che dovrebbe essere propria di ogni Stato moderno, soprattutto nelle periferie umane ed esistenziali dell’individuo.
Domenico Antonio Capone