Al giorno d’oggi, con le attrezzature digitali e i mezzi virtuali, la fotografia è ormai alla portata di tutti, ma proprio tutti. Chiunque abbia un telefonino o un tablet di ultima generazione, in pochi secondi può mostrare uno scatto a milioni di osservatori in tutto il mondo, i quali a loro volta possono condividerlo con altre persone generando un circuito senza confini. Il fotografo, quindi, non è più l’artigiano che “scrive con la luce” (da fotos=luce e grafein= scrivere) ma una qualsiasi persona che abbia a disposizione un mezzo per registrare un’immagine.
Così non era un tempo, agli albori della fotografia, quando il giovane Umberto Valente decide di aprire uno studio fotografico a Manfredonia. Alla fine dell’800, primissimo fotografo della nostra cittadina, Umberto era un vero e proprio artista, infatti oltre alla fotografia aveva la passione per la pittura. Molti dei suoi ritratti sono ancora oggi in bella mostra nelle case degli eredi delle persone ritratte.
La prematura morte di Umberto lascia lo studio “Umberto Valente e Figli” nelle mani dei figli Mario, Alfredo e Maria. Lo studio Valente era un’attività a conduzione familiare, la moglie di Mario, Lucia, si preoccupava di registrare i clienti e i pagamenti; Mario e Alfredo si alternavano agli scatti; Alfredo sviluppava, ritoccava e stampava, mentre Maria si occupava di colorare le foto. Oggi sono poche le persone che si recano in studio per fare le foto “in posa”, ma i primi anni del ’900 era una consuetudine.
La foto in studio non era mai improvvisata. Chi voleva immortalare un momento della propria vita, fidanzamento, matrimonio o un particolare abito di carnevale, doveva prendere appuntamento e recarsi nello studio fotografico. Lo studio Valente al piano superiore aveva a disposizione una stanza con delle vetrate molto ampie che permettevano di sfruttare la luce del giorno. In questa stanza, la cui tappezzeria è comune a molte delle foto conosciute dei Valente, si allestiva la foto.
Le situazioni, le pose, perfino l’arredamento, apparentemente casuali, erano tutte concertate e studiate nei minimi dettagli dai fotografi. Trovata la posizione giusta – tutti assolutamente immobili -, il fotografo, coperto da un drappo nero e con il flash di polvere di magnesio provvedeva a scattare la foto. Tirata fuori la fragilissima e sottilissima lastra di vetro su cui veniva impressionata la foto, Alfredo provvedeva allo sviluppo per vedere se lo scatto era andato a buon fine. Intanto i clienti, vestiti e imbellettati, attendevano di sapere se la foto era venuta bene o bisognava rifarla. Allo “scioglimento della prognosi” da parte dello sviluppatore, si poteva tornare tutti a casa e attendere la stampa, almeno 15 giorni. A questo punto cominciava il lavoro certosino del ritocco, prima del negativo, poi della foto stampata. Un lavoro di precisione che non aveva nulla da invidiare al nostro Photoshop, con la sola differenza che era fatto interamente a mano.
I clienti erano soliti dire ai fotografi: “Me raccumanne, famme bèlle!”. E nelle foto di Valente erano davvero tutti belli, dopo essere passati sotto le mani sapienti di Alfredo che con matite pennelli e colori riusciva a togliere ogni difetto e sbavatura per ottenere un risultato praticamente perfetto. Se poi si desiderava la foto a colori, passava nelle mani di Maria, specializzata nel colorare le foto dando loro quell’aspetto così naturale e suggestivo da non sembrare nemmeno dipinte.
Le foto dello studio Valente che sono giunte fino a noi raccontano la passione centenaria del Carnevale di Manfredonia. Costumi bellissimi, studiati nei minimi particolari, denotano la cura e l’attenzione per quest’evento che riscalda il mite inverno sipontino. Ma, ci chiediamo, quante foto sono andate perdute? E quante storie potrebbero raccontarci quei negativi ancora conservati dietro a quella serranda in corso Manfredi? Due anni fa il Comune di Manfredonia commissionò una perizia valutativa dell’archivio fotografico Valente, per la quale investì ben €10.260,80. A tutt’oggi non si conosce né l’esito della perizia, né le decisioni prese a riguardo.
Qualche tempo prima lo stesso Comune intitolava una strada a “Mario Valente, Fotografo”, dimenticando, forse solo per scarsa conoscenza, che fu Umberto a portare la fotografia a Manfredonia; e trascurando il fatto che, se lo studio “Umberto Valente e Figli” raggiunse la notorietà che lo rende patrimonio della città, fu anche grazie all’impegno e alla perizia di Alfredo e Maria, nascosti, sì, nella camera oscura, e purtuttavia grandi artisti della fotografia sipontina.
Mariantonietta Di Sabato
Si ringraziano Maria Grazia Valente e Matteo Losciale per le preziose informazioni
Ciao nonno, ciao zio….che bello vedervi in foto da ragazzi….mi mancate tanto….
Bella storia della fotografia a Manfredonia.