Siamo da pochi giorni entrati ufficialmente nel clima carnevalesco. Tempo di costumi; sfilate; balli ma soprattutto, come vuole la nostra tradizione, tempo di farrate. E’ sufficiente passeggiare allegramente per le vie principali, dense di storia e colori, della nostra città per sentire nell’aria il caldo profumo delle farrate, appena sfornate dalle sapienti mani delle donne.
D’origine antichissima( il nome ferrata deriva dal latino far=farro) la farrata nei suoi semplici ma gustosi ingredienti( ricotta di pecora; menta maggiorana; grano duro; farina; pepe; sale; acqua; uova; cannella) e’ l’emblema di quella dolce asprezza che da secoli caratterizza il paesaggio sipontino. Definita ” Pasta degli Innamorati” dal poeta Michele Racioppa (a cui ha dedicato una poesia ” A Farrète”) la farrata e’ un P.A.T.( Prodotto Agroalimentare Tradizionale) e rientra nell’ambito della cosiddetta “politica agraria di qualità” che la, da noi tanto criticata, Unione Europea ha da tempo promosso.
Sicuramente nelle menti di noi cittadini di Manfredonia, pero’, la farrata e’ indissolubilmente legata all’immagine dei vari venditori ambulanti che sin dalle prime ora del mattino, specie in passato, vendono farrate appena sfornate, riversando nell’aria profumi che immediatamente danno a tutti l’idea che carnevale finalmente e’ arrivato. Ecco, forse in questi tempi di dura crisi dovremmo provare a riscoprire la bellezza della vita a partire dai costumi e dai colori semplici ma sinceri della nostra tradizione. La farrata, nella sua unicità, e’ la massima rappresentazione di come al di la’ dell’eccessiva globalizzazione; al di la’ della massificazione dei costumi; al di la’ anche dell’inesorabilità dello scorrere di un tempo sempre più frenetico ciò che effettivamente conta nella vita e’ l’essenza della nostra identità.
Domenico Antonio Capone
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