Uno studio guidato da Giuseppe Testa, dell’IRCCS Istituto Europeo di Oncologia e dell’Università Statale di Milano, eseguito in collaborazione con il gruppo di Giuseppe Merla, dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (FG), apparso oggi su Nature Genetics, una delle più autorevoli riviste scientifiche al mondo, apre la strada all’uso di farmaci molecolari per la cura dell’autismo e, più in generale, delle malattie mentali del neurosviluppo.
Il Gruppo di ricerca IEO, guidato da Giuseppe Testa – Responsabile del Laboratorio di Epigenetica delle Cellule Staminali di IEO e recentemente divenuto docente di Biologia molecolare al Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università Statale di Milano grazie a chiamata diretta su Grant ERC – ha scoperto come la disfunzione nell’attività di alcuni geni, provocata da alterazioni del loro “dosaggio” (cioè da quante copie di quel gene siano presenti nelle cellule), alteri fin da subito lo sviluppo del cervello, del cuore, delle strutture del viso, insomma di tutti i principali organi coinvolti in malattie genetiche che associano disabilità mentale e/o autismo a varie anomalie a carico di numerosi organi. Lo studio si è avvalso della collaborazione del gruppo di ricerca diretto da Giuseppe Merla – da oltre un decennio impegnato nello studio della Sindrome di Williams – dell’Unità di Genetica Medica presso l’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, che ha anche fornito un numero rilevante di campioni provenienti dalla propria Biobanca Telethon. Lo studio è stato reso possibile anche grazie al prezioso sostegno delle associazioni famiglie di pazienti con la sindrome di Williams, ed è stato finanziato dallo European Research Council, dal Ministero della Salute, dalla Fondazione Telethon e dal Consiglio Nazionale Ricerche (CNR) tramite il Progetto Bandiera Epigen.
I ricercatori hanno studiato due malattie causate da alterazioni speculari nel dosaggio genico, cioè la perdita o la duplicazione di 26 geni che stanno sul cromosoma 7. La perdita di una copia di questi geni causa la sindrome di Williams, malattia particolarmente interessante perché, a fronte di un ritardo mentale risparmia però in gran parte il linguaggio e dà luogo a una forma di ipersocialità o socievolezza, quella che i primi clinici chiamavano “personalità da cocktail party”. La duplicazione degli stessi geni invece è stata da pochi anni associata all’autismo che ha sintomi diametralmente opposti: socialità compromessa, fino al cosiddetto ritiro autistico, associata appunto a gravi deficit nelle capacità linguistiche. Quindi esistono due alterazioni – simmetricamente opposte – del dosaggio genico, cui corrispondono alterazioni – anche queste simmetricamente opposte – in aspetti fondativi della condizione umana quali il linguaggio e la socialità. Tra questi 26 geni, uno in particolare – chiamato GTF2I – gioca un ruolo chiave come “fattore di trascrizione”, cioè come gene che a sua volta regola la funzione di molti altri geni, accendendoli o spegnendoli.
«Abbiamo scoperto – spiega Giuseppe Testa – che GTF2I non agisce da solo, ma in associazione con un importante enzima, LSD1, che è coinvolto anche in molti tipi di tumore e contro il quale si sono cominciati a sviluppare, anche qui in IEO, molti nuovi farmaci. Ebbene, siamo riusciti a dimostrare che la somministrazione di farmaci contro LSD1 è in grado di ripristinare il corretto funzionamento di alcuni circuiti molecolari, anche in presenza di anomalo dosaggio di GTF2I, aprendo de facto la strada allo studio di come questi inibitori farmacologici possano essere un giorno impiegati anche nell’autismo e più in generale nelle malattie mentali del neurosviluppo. Difatti, proprio sui neuroni riprogrammati a partire dalla cute dei pazienti reclutati per il nostro studio, partirà ora lo screening farmacologico per nuovi composti». «Il nostro lavoro – continua Testa – è la più grande ricerca mai condotta finora, per qualsiasi malattia genetica, su cellule staminali riprogrammate e rappresenta un notevole avanzamento nell’intero campo del cosiddetto “disease modeling”, vale a dire la creazione di modelli (o avatar) di malattie umane. E’ un ambito che sta esplodendo in biomedicina, e che si basa sulla riprogrammazione di cellule della cute di pazienti affetti dalle più svariate malattie a base genetica (incluse malattie frequentissime tipo Parkinson, Alzheimer, schizofrenia, diabete, SLA etc.) in cellule staminali pluripotenti, cioè riportate ad uno stadio analogo a quello delle cellule embrionali da cui hanno origine tutti i nostri organi e tessuti. Da queste cellule è poi infatti possibile derivare – in vitro – tutti i tipi di cellule del nostro corpo, studiare i meccanismi di malattia e testare nuovi farmaci anche in tessuti umani che erano restati finora praticamente inaccessibili alla sperimentazione, come appunto i neuroni del cervello. Inoltre l’ampiezza del campione e il rigore del nostro studio, hanno permesso di concludere che il numero di pazienti coinvolti, e il numero di linee di staminali riprogrammate da ciascun paziente, sono fondamentali per scoprire i meccanismi molecolari alla base della malattia».
Un’altra scoperta inaspettata è che le alterazioni del dosaggio genico provocano anomalie fin dai primissimi stadi dello sviluppo. Poi, più si va avanti nel differenziamento nei vari tessuti, più questi difetti vengono amplificati. «L’impatto è notevole – conclude Testa – non solo per le due malattie in questione, ma anche per tutto il campo del “disease modeling”, perché vuol dire che già dalle cellule staminali riprogrammate dai pazienti, prima ancora di averle differenziate, potremo già capire quali sono le alterazioni più importanti di molte malattie».