L’articolo 18 non può essere esaminato e capito al di fuori dello Statuto dei Lavoratori (Legge n°300 del 20 maggio 1970) e del contesto storico-sociale che portò alla sua approvazione da parte del Parlamento italiano, sulla base dell’elaborazione e del forte impegno dei Ministri del Lavoro del tempo, Giacomo Brodolini, socialista e Carlo Donat Cattin, democristiano. Lo Statuto dei Lavoratori fu il frutto più avanzato della profonda trasformazione della società italiana in conseguenza della rivoluzione industriale e del miracolo economico degli anni Sessanta. Tale rivoluzione tecnologica, produttiva e sociale produsse una fortissima concentrazione delle masse meridionali emigrate nelle grandi città del Nord, Torino, Milano, Genova ed altre ed una nuova coscienza, cultura ed organizzazione del lavoro e delle relazioni nelle fabbriche. L’aggregazione in un luogo, la fabbrica, ed in un territorio, le periferie urbane, di masse omogenee per provenienza socio-demografica, condizioni di vita e di lavoro, modelli culturali e livelli di istruzione e per motivazioni, intraprendenza, ambizioni personali produsse gradualmente un nuovo, forte senso di identità e di dignità di se stessi, come singolo lavoratore e come soggetto collettivo. Alla iniziale obbligata accettazione dello sfruttamento nel lavoro di fabbrica e del disagio e degrado nella vita sociale periferica urbana, subentrò la consapevolezza della necessità di lottare per migliorare le proprie condizioni lavorative e di vita sociale.
ARTICOLO 18, STATUTO DEI LAVORATORI E CONTESTO STORICO-SOCIALE-PARLAMENTARE
Nel Nord nasce la classe operaia a forte impronta meridionale che, a partire dalle fabbriche e poi nei quartieri di periferia si riconosce come soggetto unitario collettivamente interessato a rivendicare migliori condizioni di lavoro in fabbrica e diritti civili nella società. In fabbrica rivendica ed ottiene la possibilità di contrattare l’organizzazione del lavoro, i tempi, i modi, i costi delle proprie prestazioni e soprattutto la possibilità di non essere discriminato per le idee politiche e le attività sindacali, coscienti del ruolo attivo, positivo e propositivo svolto nella stessa fabbrica per il miglioramento produttivo, tecnologico e dei rapporti sociali ed aziendali.
È QUESTO UN MOVIMENTO OPERAIO A FORTE IMPRONTA MERIDIONALE
è questo un movimento operaio a forte impronta meridionale poiché i lavoratori erano per gran parte proveniente dal mondo contadino e dai ceti più poveri del Sud. È nelle fabbriche metalmeccaniche che questo movimento e queste spinte sono più forti poiché è in tali fabbriche che il lavoro è più faticoso, pesante, rischioso, tecnologicamente parcellizzato secondo il modello tayloristico e, quindi, c’è una condizione concreta e materiale fortemente in contrasto con la natura umana, con l’essere uomo, unitario e tutt’uno, nella sua dimensione di dignità e valore. Fu un processo inizialmente tumultuoso e spontaneo e poi sempre più consapevole ed organizzato.
Le lotte sociali e sindacali trovarono una forte rappresentanza nel PCI ed anche in organizzazioni politiche autonome (i cosiddetti “gruppusculi”), spontaneistiche e ribellistiche, che pur dall’opposizione si fecero portatori nel Parlamento delle istanze di tale Movimento Operaio, così diffuse e dominanti poiché riflettevano ed esprimevano anche le esigenze di miglioramento di tutti gli italiani.
Tali istanze trovarono accoglienza e rappresentanza nel governo di Centro-Sinistra, e in particolare nella Sinistra Socialista (Brodolini era stato fondatore della CGIL) e nella Sinistra Democristiana (Donat Cattin era stato tra i fondatori della CISL). I Socialisti in particolare, pur avendo rotto il fronte unitario della sinistra isolando il PCI all’opposizione, mantenevano un rapporto comunque con l’insieme della sinistra e soprattutto avevano una visione avanzata e progressista del governo di Centro-Sinistra, poiché ritenevano che esso dovesse introdurre nel sistema italiano riforme di struttura tese ad una maggiore uguaglianza sociale.
ARTICOLO 18 NON E’ SOLO UNA CONQUISTA SINDACALE MA ANCHE UNA CONQUISTA DI CIVILTA’
Tutte queste spinte nella società, nella politica e nel Parlamento avevano come riferimento base il portare a compimento la Costituzione italiana, in particolare l’articolo 3 che così recita:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
Lo Statuto dei Lavoratori fu quindi il frutto di tre processi storico-sociali ed economici:
- Una fase di espansione economica che rendeva possibile l’aumento della ricchezza nazionale e, quindi, una sua distribuzione a tutti, un miglioramento anche per i ceti sociali più deboli. Ciò avvenne soprattutto a Nord.
- Le lotte sindacali e sociali, la mobilitazione culturale e politica della sinistra nel Parlamento, al governo ed all’opposizione. Ciò avvenne soprattutto al Nord.
- Il riferimento alla Costituzione italiana, ai suoi valori, diritti e doveri, ai suoi principi come linea guida per la realizzazione di una società italiana più giusta ed eguale. Ciò avvenne sia al Nord che al Sud.
STATUTO DEI LAVORATORI E L’ARTICOLO 18 FURONO CONQUISTA SINDACALE E DI CIVILTÀ
Per questi motivi lo Statuto dei Lavoratori e l’articolo 18 non furono solo una conquista sindacale ma, insieme ad altre leggi progressiste quali la legge sulla maternità, quella sul diritto alla salute per tutti e quelle per la costruzione del Welfare State, ma anche e soprattutto una conquista di civiltà, nel senso proprio dell’acquisizione di un diritto umano, un diritto insito nella natura umana, un valore universalmente riconosciuto e valido in sé. Che va oltre le condizioni specifiche, determinate e storiche che lo hanno prodotto. Come è stato per i valori di libertà, uguaglianza e fraternità, democrazia, eliminazione dello schiavismo e della discriminazione raziale delle Rivoluzioni Americana e Francese, valori storicamente determinati ma diventati anche universali. è dall’articolo 3 della Costituzione che trova espressione e fondamento lo Statuto dei Lavoratori e l’articolo 18 che nella parte iniziale vuole eliminare ogni tipo di discriminazione in qualsiasi condizione ed ambiente, promuovendo così non in astratto ma nel concreto del vivere l’uguaglianza e la partecipazione di tutti al governo del Paese. Infatti così recita: “Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, (..), ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto (…)”.
C’è da sottolineare, infine, la funzione moderatrice e di equilibrio che lo Statuto e l’articolo 18 svolsero in quel momento storico e contesto di così forte tensione sociale, anni Settanta, poiché tali normative consentirono di contenere ed istituzionalizzare le tante spinte ribellistiche ed anti-sistema del tempo, regolamentando il conflitto sociale che nel mondo capitalistico-industriale è fisiologico e sistematico tra capitale e lavoro.
Nel prossimo articolo saranno esaminai gli effetti dell’articolo 18 e dello Statuto dei Lavoratori nel Sud, in Capitanata, a Manfredonia.
Silvio Cavicchia
Sociologo e Ricercatore Sociale del Centro Studi e Ricerche “Eutopia”
silviocavicchia@libero.it