Martedì 19 Novembre 2024

Cronaca (quasi) Quotidiana del viaggio sportivo-umanitario “Giro del mondo in bicicletta per i diversabili”

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1600mo giorno, cronaca 113, La Havana (N23°08.099′ W82°22.655′), Cuba, 20 giugno 2014 15:40 –

In un viaggio ciclistico, visitare un’isola è sempre un problema e Cuba, nonostante si trovi a solo 200 chilometri dalla punta più meridionale della Florida a nord o dallo Yucatan a ovest, è particolarmente difficile da raggiungere per la mancanza di collegamenti marittimi che di gran lunga preferisco all’aereo sia per ragioni ideologiche sia per evitare un trauma eccessivo alla bicicletta. Di fatto, la bicicletta si danneggia quando viene trasportata nella pancia di un autobus o di un aereo, dove deve essere smontata e imballata, mentre non viene lesionata quando ella stessa trasporta. Nonostante queste considerazioni pratiche e “umanitarie” nei confronti del mio mezzo di trasporto, l’itinerario nelle Indie occidentali non poteva prescindere dal passaggio per Cuba. L’idea diffusa che si ha dell’isola è di un luogo mitico, sia per la sua storia recente che per la sua cultura musicale.

Personalmente tenevo a visitarla per vedere con i miei occhi un posto rimasto cristallizzato nel tempo a causa dell’isolamento, forzato dagli USA e auto-imposto dai suoi stessi governanti, prima che questo svanisca e l’isola venga avvinghiata dai tentacoli della globalizzazione. Uno degli ultimi paesi al mondo con un dittatore tanto assoluto quanto carismatico, esempio e ispirazione per altre nazioni del terzo mondo. Come molti capipopolo, che hanno strappato il potere ad altri tiranni dopo una sanguinosa campagna militare, spacciata come “rivoluzione”, l’intellettuale Fidel Castro e il pragmatico Raul, suo fratello minore ed eminenza grigia, hanno saldamente tenuto le redini del comando dal 1959. Hanno ben navigato il piccolo veliero antilliano attraverso i flutti creati dai transatlantici delle superpotenze, inizialmente provando a rientrare, con condizioni diverse, nella scia statunitense per poi dover compiere lunghi bordi di bolina stretta per evitare di schiantarsi contro i fatali scogli del suo imperialismo. Le stesse vele che in un primo tempo si erano gonfiate con poderose folate di estremismo nazionalista e dichiarato anticomunismo, in un secondo tempo hanno costretto il Lider Maximo a virare repentinamente e sfruttare il vento in poppa che spirava proprio della patria del socialismo reale, l’Unione Sovietica.

Il sogno di ogni dittatore è di aver un nemico esterno e i Castro hanno avuto la fortuna di avere il più forte di tutti, gli Stati Uniti, che imposero l’embargo all’isola dopo la nazionalizzazione del 70% della terra e 80% dell’economia cubana che erano in mano sia a compagnie che alla mafia statunitense. Intorno il blocco economico, pretesto unico di tutto quello che non ha funzionato negli ultimi 60 anni, Fidel ha creato un regime tanto radical-nazionalista quanto paternalistico-socialista che ha di fatto ha portato indietro le lancette dell’orologio economico dell’isola. Il paese è in piena via di sottosviluppo, con le condizioni di vita della popolazione che visibilmente degradano quotidianamente e senza alcuna possibilità di cambiamento, questa volta essenzialmente per il blocco ideologico-mentale del Lider. Non ci si può aspettare troppo da un paese e da una popolazione che ha subito 400 anni di colonizzazione spagnola, 60 anni di protettorato statunitense e altri 60 anni di dittatura. Quest’ultima ha soppresso qualunque forma di democrazia e al tempo stesso continua a esaltare e glorificare un fantomatico potere popolare che non ha alcun fondamento nella realtà, portando di fatto ad una completa apatia e disinteresse per la politica che avvantaggia ancora di più l’élite dirigenziale. Ancora, l’abolizione di qualsiasi forma d’espressione, che non solo non si conformi alla linea del regime ma che si elevi di un grado leggermente più alto della massa, ha come conseguenza un livellamento culturale verso il basso e l’abbandono del paese dell’intellighenzia più creativa.

Certo, il regime nazionalsocialista castrista ha alfabetizzato tutta la popolazione, anche se all’alto livello d’istruzione non corrisponde un altrettanto elevato livello culturale, ha dato una casa a quasi tutti e ha creato una rete sanitaria gratuita. Ma è veramente necessaria una guerra civile seguita da ben sei decenni di tirannia per arrivare a questi risultati? Non basterebbe semplicemente una buona politica e bravi amministratori per metterla in pratica?! Dopo la caduta del blocco sovietico, l’altro grande successo del tandem Fidel-Raul Casto a capo della Repubblica cubana è stato quello di renderla uno dei pochissimi Stati al mondo a sovranità piena. Purtroppo prevedo che con la scomparsa dei Castro e delle loro ortodossia ideologica, anche i pochi vantaggi sociali, quali una certa uguaglianza e giustizia sociale o la mancanza di vere classi economiche, si perderanno perché il nuovo gruppo dirigente sarà costretta ad aprire il paese alle solite multinazionali che impianteranno fabbriche per sfruttare la manodopera fondamentalmente istruita e a bassissimo costo. In altre parole, Cuba seguirà la sorte di molti paesi asiatici dove l’industrializzazione selvaggia ha creato un forte degrado sociale, una grande disparità di classe oltre che un irreparabile disastro ecologico.

Il quattro maggio 2014 alle 17.25 ho messo ruota sul suolo cubano, atterrando all’aeroporto di La Havana dove all’uscita c’era un’orchestrina che si esibiva in canzoni dal repertorio del Habana Social Club sulle cui note danzavano tre coppie di ballerini mulatti, alle cui spalle erano parcheggiate una decina di fiammanti automobili di modelli statunitensi degli anni 50, pronte a portare i turisti in città. In un sola occhiata c’erano tre dei più comuni stereotipi associati a quest’isola, tutto perfettamente in sintonia con l’idea romantica che si ha di questo posto. Peccato che, dopo aver trascorso quasi due mesi in giro per il paese, ho scoperto che: le orchestrine non superano quel confine invisibile, e pur tangibile, delle aree frequentate dai turisti; la maggior parte della popolazione non è affatto mulatta ma bianca caucasica; le auto della metà del secolo scorso, per quanto molto comuni in città, non sono la maggioranza.

Purtroppo i cubani non passano la vita a ballare e questo è un vero peccato perché trovo le danze tipiche di queste parti eccezionalmente accattivanti, conturbanti e seducenti. Forse ho perso la maggior opportunità della mia vita di imparare a ballare la salsa, anche se, a ben pensarci, ormai le scuole sono più comuni all’estero che qui. Un altro peccato è che i cubani non trascorrono tutto il loro tempo a suonare quei ritmi allegri e incalzanti, anche se spesso le parole sono tristissime, che hanno reso la loro musica popolare universalmente riconosciuta come una vera arte sopraffina. La peculiarità della musica cubana, rispetto a quella simile degli altri paesi limitrofi e sudamericani, è l’alta componente africana, che altrove è stata fortemente ridimensionata o addirittura repressa dai colonizzatori, in rapporto agli altri elementi, in particolare spagnoli e in generale europei.

OLYMPUS DIGITAL CAMERACome in un universo parallelo o in un’altra dimensione, le leggi della meccanica qui rispondono a delle leggi fisiche differenti, altrimenti non si spiegherebbe come così tante automobili costruite più di 60 anni fa sono ancora in circolazione e utilizzate quotidianamente. Certamente, il fatto che questi dinosauri meccanici non abbiano componenti elettronici, un transistor si può solo sostituire!, permette agli isolani di accomodarli con adattamenti degni da Guinness dei primati della fantasia della riparazione. Ho visto alcuni di questi motori, che non hanno meno di sei cilindri ma normalmente sono di otto a V, tenuti insieme da fil di ferro, aggiustati con piatti di metallo e incollati con stucco per ferro. Le dimensioni di queste automobili sono pachidermiche, le curve “alate” dei modelli dei primi anni 60 sono derivate direttamente dai razzi spaziali dell’epoca e le nuvole di smog nero di petrolio venezuelano che i tubi di scappamento emettono, sono talmente dense da annebbiare la vista per alcuni secondi. Al confronto, le molto più moderne, efficienti, squadrate e piccole Lada sovietiche, che compongono l’altra gran parte del parco vetture cubano, non solo sono un altro anello ma un’altra specie evolutiva della razza automobilistica. Normalmente, con i miei 23 chilometri orari di media, sono quasi sempre il più lento della strada, invece a Cuba mi sento veloce come un bolide quando sorpasso carretti e carrozze trascinati da cavalli che, fuori dei maggiori centri urbani, sono il principale mezzo di trasporto. Ce ne sono di ogni tipo: alcuni con ruote di legno e balestre che sembrano usciti da un dipinto del 19mo secolo; altri sono adattati con tanto di cerchioni e copertoni d’automobile; alcuni trasportano non più di due passeggeri mentre altri sono veri omnibus che ne caricano decine; ma tutti hanno in comune, ripeto, che sono molto più lenti di me!

Sono rimasto a La Havana sino al sette maggio, girovagando per i vari quartieri cittadini che si susseguono lungo la costa e intorno la profonda baia, estasiato dalla squisitezza ed eleganza dell’architettura di una signorilità e raffinatezza alto-borghese con tratti distintamente nobiliari. Armoniose colonne che reggono incantevoli facciate fregiate di delicati e armoniosi stucchi policromi si susseguono ininterrottamente in tutte le strade dove ogni palazzo gareggia con quello successivo per il titolo di gemma della via. Ogni angolo ci parla di una capitale del nuovo mondo che fieramente compete con quelle del vecchio, riuscendo a uscirne vincitrice nel confronto uno a uno con molte di queste. Uno sfoggio di ricchezza, lusso, opulenza di una nazione orgogliosa del proprio successo commerciale ed economico, che non possiamo non chiederci quanto sarebbe stata ancora più meravigliosa e strabiliante se nel 1959 tutto questo non fosse stato improvvisamente troncato dalla barbarie della Rivoluzione. Da allora questo gioiello urbanistico si sta letteralmente sgretolando per l’incuria e l’abbandono dovuti alla mancanza di soldi per far la ben che minima restaurazione, anche la più indispensabile per non far cadere i tetti, per tenere gli edifici in piedi, lasciamo stare gli stucchi. È un’aristocratica signora che da 60 anni indossa sempre il suo miglior vestito, con tanto di gioielli di diamanti e che va a lavorare nei campi. Oramai i pizzi si sono completamente sfrangiati, il tulle ha più buchi che parti sane, il fango ha totalmente insozzato i merletti, i brillanti sono interamente opacizzati e l’oro è talmente ossidato che è rugginoso come volgare ferro. Come se tutto questo livello di degrado non bastasse, va aggiunto che nessuna nuova costruzione ha ringiovanito la città che pare terremotata o che abbia subito un bombardamento aereo. La Havana non è altro che l’esempio più eclatante di un intero paese che dall’età dell’oro, o almeno dell’argento, è scivolato lentamente, ma inesorabilmente, verso una condizione di sottosviluppo architettonico, culturale, sociale, economico, intellettuale e ambientale.

Con mio gran piacere, l’otto maggio ho lasciato La Havana dirigendomi a est lungo la costa e dormendo la prima notte sulla spiaggia nei pressi della stazione balneare di Santa Cruz del Norte. Qui c’erano altri capeggianti, gruppi si famiglie cubane che avevano trasformato il boschetto adiacente la spiaggia in cucina, soggiorno con sdraio, sala da pranzo con lunghe tavolate e parco giochi per bambini, tutto all’aperto mentre le piccole tende di tipo canadese o igloo erano le camere da letto, unica parte coperta della residenza. Il giorno successivo mi sono fermato nella città di Matanzas per cambiare Euro nelle valute locali. L’uso del plurale non è un errore di battitura perché a Cuba hanno corso legale il Peso Moneda National (MN) e il Peso Convertible o CUC. Il primo vale un venticinquesimo del secondo che è agganciato al dollaro statunitense in rapporto uno a uno. Prima di arrivare a Cuba, credevo che la regola della doppia valuta fosse che gli stranieri dovessero pagare in CUC mentre i cubani in MN e la cosa mi sembrava giusta, invece ho scoperto che dipende dal bene che si vuole acquistare e non dalla nazionalità dell’acquirente. In pratica, tutto quello che viene importato è in CUC mentre i pochi prodotti locali, quali frutta, verdura e carne di maiale, sono in MN. Ciò costringe i locali a cambiare valuta per comprare abbigliamento, elettronica e persino generi alimentari come pollo di provenienza brasiliana o formaggio argentino. La grande ingiustizia sta nel fatto che gli stipendi sono in MN, è come se in Italia ti pagassero in Lira ma tutti i prezzi fossero in Euro, per molti in Italia è realmente così ma non voglio entrare in questo dibattito… C’è anche un aspetto psicologico, con uno stipendio medio di circa 300 MN (12 USD) il cubano medio, che guarda la vetrina di un negozio dove è esposto un normalissimo pantalone dal prezzo di 15 CUC (15 USD), non vede direttamente che in un mese può o mangiare o vestirsi ma lo deve calcolare.

Mi sono fermato per la notte in Matanzas e la sera, mentre ero seduto su una panchina nel Parque de la Libertad, una donna a una decina di metri da me mi ha salutato con ampi gesti della mano. Dal suo aspetto sobrio per vestito e taglio di capelli ero certo fosse una canadese o europea, perché le cubane si abbigliano in modo molto pacchiano, invece si trattava della cubanissima Yanira Marimon. Un paio di anni più giovane di me, Yanira è una poetessa vincitrice dei premi nazionali: “La Rosa Blanca” nel 2006, per “Donde van a morir las mariposas”, miglior testo di letteratura infantile e quello della critica letteraria per la sua raccolta di poesie “Contemplación Vs Acto”, di cui mi ha fatto dono e che è dedicata al padre Luis, anch’egli rinomato poeta e attore morto a 44 anni in circostanze sconosciute a Las Vegas (Nevada, USA), dove si trovava come profugo politico. Come lavoro pubblica la “Revista artística letteraria Matanzas”, edita e scrive prefazioni a libri di poesia e narrativa, e dà conferenze di letteratura. Se la si giudicasse sulla base delle sue opere poetiche, ne verrebbe fuori come una pessimista, depressa e di una tristezza morbosa, ma non può essere diversamente per una ragazza che ha perso il padre così giovane, anche se non ha passato troppo tempo con questo che forse è realmente morto per una complicazioni derivate da un avanzato stadio di alcolismo.

matteo con maschera (2)_resizeI poeti non fanno altro che sfruttare e approfittare delle loro emozioni e sensazioni, ingigantendole e amplificandole, per poi trasferirle in parole che, nel caso di Yanira trattando della morte del genitore, non possono che essere a tinte fosche. In realtà è una ragazza solare e sorridente, spiritosa e simpatica, a tratti addirittura euforica e quasi sempre allegra. Con lei ho trascorso il paio di giorni successivi, ospite a casa sua dove vive con la madre e i due figli di 17 e sette anni, il primo frutto di una relazione giovanile, mentre la seconda del vincolo sentimentale col cineasta Bárbaro Joel. Questo ha realizzato cortometraggi d’animazione con pupazzi di plastilina ma il successo internazionale è arrivato con “20 Años”, considerato dalla cultura cinematografica come uno dei tre migliori film d’animazione cubani degli ultimi dieci anni. L’ho visto e l’ho trovato talmente ben fatto e ricco di significato che ho deciso di metterlo nel mio canale Youtube (http://youtu.be/3iukwsQ_kxE). Il successo ha dato a Bárbaro la possibilità di lasciare l’isola e ora vive in Germania con una donna argentina da cui ha avuto una figlia. La forza della poesia scorre forte nella famiglia di Yanira, perché la bisnonna paterna già scriveva sonetti, tre generazioni di compositori di versi. Ma i cromosomi cambiano, o almeno si fanno cambiare dalle condizioni economiche, infatti il figlio maggiore, terminate le scuole dell’obbligo, ha deciso di prendere corsi di cucina per poter lavorare negli hotel internazionali dove uno chef guadagna milioni di volte più che il più talentuoso dei poeti.

Il 13 maggio mi sono lanciato alla scoperta dell’isola, dirigendomi verso levante seguendo la Carretera Central che, nonostante sia la direttrice principale dell’isola, non è che una strisciolina d’asfalto con un’angusta corsia per ogni senso di marcia. Il traffico è quasi inesistente e composto principalmente di autocarri, corriere e carretti che trasportano quelle poche merci e persone in queste aree rurali scarsamente popolate. Il regime pone una particolare attenzione ai contadini, che vengono idealizzati e indicati come simbolo del vero socialismo in rapporto alla decadenza cittadina. Per i primi 500 chilometri, la campagna circostante è piatta, verde e noiosa, con terreni lasciati a pascolo interrotti da immense distese coltivate a canna da zucchero che, dall’arrivo degli spagnoli, è stata l’unica coltura e ragione economica dell’isola.

Il 18 e 19 di maggio mi sono fermato a Ciego de Avila dove Yanira mi ha messo in contatto con Félix Sánchez, classe 1955, scrittore, sociologo e, al tempo, rivoluzionario convinto che, visto come sono andate le cose, è diventato uno dei maggiori critici del regime. Con lui ho parlato un’intera giornata apprendendo molte delle incongruenze del Socialismo reale e della vera condizione di Cuba, come le sto riportando in questa cronaca. Nel 1990 Félix è andato a studiare Scienze Sociali a Mosca, allora capitale dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, e tre anni dopo l’ha lasciata come capitale di una sola di queste repubbliche, quella russa. Questa sua breve esperienza all’estero, unita alla sua forte capacità di analisi e di critica, ne fanno uno dei più prolifici, profondi e illuminati scrittori di racconti brevi e novelle che vivano a Cuba. Qui, la pubblicazione di un libro non segue le regole del mercato come in occidente dove la qualità di uno scritto è seconda al suo successo commerciale.

Sono persone come lui che ai miei occhi hanno gettato una luce positiva sulla popolazione cubana di cui avevo un’opinione particolarmente negativa a seguito di incontri con varie persone in luoghi turistici e non. A sentir loro, i cubani si definiscono una popolo amichevole, ospitale, affabile e cordiale, caratteristiche che possono essere riscontrate nella maggior parte della popolazione umana a prescindere dalla nazionalità e cultura. Personalmente, li ho trovati anche ignoranti (nel senso che la loro condizione geografico-politica li porta ad ignorare il mondo esterno), maleducati, invadenti e presuntuosi questi ultimi due aggettivi li differenziano dalle genti asiatiche. Da un punto di vista puramente estetico, è una popolazione decisamente bella, etnicamente variegata e fisicamente attraente, anche se trovo che entrambi i sessi si vestano in modo pacchiano o peggio volgare. Varie volte, sia i padroni delle case particular dove ho alloggiato sia delle ragazze per strada, mi hanno proposto, o si sono offerte, come fidanzate cubane. Un paio di volte anche aitanti giovanotti mi hanno chiesto se volessi compagnia e adduco queste avance al fatto che i miei capelli oramai sono diventati davvero lunghi, perché non credo di avere un fare effeminato. Chiaramente non ne faccio una questione morale, ho vissuto otto anni nel Sud-est asiatico continentale dove il meretricio è una buona percentuale del prodotto interno lordo, ma trovo squallido che uomini e donne occidentali vengano in questi paesi poveri per approfittare della miseria della popolazione più giovane, perché in questi posti il vendersi è sempre e solo il frutto di situazioni di indigenza, a differenza che nei paesi del primo mondo. Dopo tutto, amori mercenari si possono ottenere anche nel ricco occidente, dove certe strade o tangenziali cittadine fanno sembrare i peggiori luoghi di meretricio di Bangkok o La Havana il chiostro di un convento di orsoline. A Cuba non ho trovato nulla di speciale, i glutei e le cosce delle donne o i bicipiti e pettorali degli uomini locali non sono ragioni sufficienti per ritornarci.

Tra Camaguey e Las Tunas si incontra la Sierra de Najasa, il terreno è un po’ più vario e interessante perché ondulato e con una vegetazione come dovrebbe essere in un paese subtropicale. Ma ci si rende conto di essere ai tropici quando si arriva alla maestosa Sierra Maestra con la sua lussureggiante foresta di acacie, ficus e palme da cocco che ricopre i pendii, come in passato era sull’intera isola prima della colonizzazione e dello sfruttamento agricolo. Proseguendo a sud-est, dopo aver attraversato la Sierra Maestra si raggiunge l’altra capitale, la città di Santiago de Cuba. Tra questa e La Havana c’è la stessa concorrenza che esiste tra Milano e Roma, Saigon e Hanoi, Cairo e Alessandria, San Pietroburgo e Mosca, Bruxelles e Anversa, Nuova Delhi e Bombai, Pretoria e Johannesburg, città che incarnano le due distinte anime che sempre esistono in un paese: quella amministrativa e quella commerciale, anche se non in tutti i paesi si trovano in differenti città, per esempio in Inghilterra, Argentina e Francia le capitali le contengono entrambe.

A Santiago per la prima volta ho trovato un ristorante di pesce e gamberi a buon mercato e in Moneda National perché, nonostante Cuba si trovi nel mezzo del Mar dei Caraibi dove pesce e crostacei dovrebbero essere più comuni ed economici del pane, nell’isola è quasi impossibile mangiar pesce o frutti di mare che sono riservati all’esportazione e ai ristoranti degli hotel per stranieri. I cubani superano di gran lunga gli italiani nel consumo di pizza, decisamente l’alimento più diffuso ed economico dell’isola, che si può acquistare ad ogni angolo di strada in forma di focaccia tonda e la cosa non dovrebbe sorprendere perché è una pietanza facile da preparare e che richiede pochi ingredienti. In generale, a Cuba si mangia molto male e, per essere un paese alle latitudini tropicali dove si concentrano due terzi della biodiversità di flora e fauna del pianeta, è scandaloso che non ci siano più di un paio di tipi di vegetali oltre ai pomodori, cetrioli e cavoli. In altri paesi tropicali, come il Vietnam o l’India, tutto l’anno nei mercati c’è l’imbarazzo della scelta di verdure, molte delle quali sono erbe locali che non vengono coltivate ma semplicemente raccolte. La scarsità alimentare cubana è dovuta alla deficienza di tecnologia agricola che compensi la stagionalità e alla perdita di conoscenza proprio di quei prodotti selvatici autoctoni che crescono tutto l’anno. La penuria di beni è lampante nei negozi dove gli scaffali sono semivuoti o riempiti con una sola merce. Quello che invece impressiona per la gran varietà e quantità, è l’offerta di bevande alcoliche e principalmente del distillato di canna da zucchero, il rum. Ce ne per tutti i gusti e tasche, i cubani lo consumano liberamente per la strada ed è abbastanza comune vedere persone di ogni età che con nonchalance camminano per la via con una bottiglia in una mano e un bicchierino di plastica nell’altra, perché è maleducazione bere direttamente dalla bottiglia e lo fanno solo gli alcolizzati e ubriaconi.

Il 29 maggio sono arrivato all’estremità più orientale dell’isola dove si trova la cittadina di Baracoa raggiunta via la strada che passa a pochi chilometri dalla baia di Guantanamo. In questo luogo si trova l’omonima base militare statunitense, trasformata in campo di concentramento che, al pari di altri luoghi creati per le stesse finalità come Auschwitz o Robben Island, è sinonimo di tortura, disprezzo della dignità umana e crudeltà, uno dei luoghi che passeranno alla storia come tra i più infami. Qui gli statunitensi hanno riportato il Diritto giuridico a quello che era nel Medioevo riutilizzando le stesse tecniche di interrogatorio e tortura dell’Inquisizione cattolica o dei Khmer Rouge in Cambogia, con processi dove l’accusato non ha diritto a difesa, giustificandolo con il fatto che il carcere non è in territorio federale e quindi non si applicano le sue norme giuridiche. La base di per se è un’anomalia, una costrizione che gli Stati Uniti hanno imposto dalla neonata Repubblica cubana al momento dell’indipendenza. Fidel, che ha creato una specie di zona militarizzata tutt’intorno, si è ben guardato dal cercare di sradicarla ben consapevole che al guerrafondaio vicino non serve un casus belli reale per scatenare un’invasione in grande stile ma è bravissimo a inverarne come ha dimostrato in tutta la sua storia, dalla guerra contro il Messico, all’affondamento del Maine, all’occupazione dell’Iraq.

Il 31 maggio ho cominciato a ridirigermi verso la capitale seguendo il Circuito Norte via Holguin, molto più pittoresco della Carretera Central ma con lunghi tratti di sterrato nella Sierra de Cristal e più avanti nelle Alturas de Maniabon. Le città e i paesini che si attraversano sono quasi tutti uguali, con le prime dai bei palazzi signorili che si sgretolano come a La Havana e i secondi con la piazzetta e il municipio sulla cui facciata campeggia la scritta Poder Popular. Di fatto, non si capisce come il popolo eserciti il suo potere visto che le elezioni per l’Assemblea Provinciale e Nazionale sono a candidature bloccate decise dal partito centrale, per cui la gente non ha alcuna possibilità di scelta e un buon 50% delle schede vengono lasciate in bianco e 20% sono nulle. Un’altra caratteristica comune a tutti questi centri abitati sono le gigantografie degli eroi della rivoluzione e di gran lunga il più rappresentato è Ernesto Guevara, nell’arcinota posa con lo sguardo nel vuoto e l’espressione da ebete. Sicuramente, se questo nazionalista continentale sudamericano non fosse deceduto in terra boliviana, dove il Lider Maximo lo mandò a morire preoccupato che la sua luce lo metteva in ombra, sarebbe diventato un noiosissimo e vecchio burocrate borghese dimenticato dalla storia. Personalmente, né mi identifico né tanto meno sono d’accordo con quest’assassino, perché ne ha ammazzate di persone innocenti!, e con la sua visione del mondo fondata sulla lotta armata come unico modo di liberazione popolare. Preferisco figure che hanno fatto della non-violenza la loro arma come: Gandhi, Luther King e Mandela nella sua ultima fase.

Per un giorno mi sono fermato a Ciego de Avila dove ho passato un pomeriggio con Félix, questa volta non parlando di Cuba ma del filosofo Karl Marx. Quello su cui mi sono trovato perfettamente d’accordo con Félix è che lo stalinismo, il maoismo o il castrismo, non hanno nulla a che vedere con il Manifesto o il Capitale e non si può accusare il filosofo per le nefandezze che sono state commesse in nome del suo pensiero travisato e strumentalizzato. Tutte la rivoluzioni socialiste sono avvenute in paesi sottosviluppati, come la Russia e la Cina, in netto contrasto con la tesi marxiana che queste avrebbero dovuto verificarsi in contesti economici di stati industrializzati dove il proletariato aveva piena coscienza di classe e non in nazioni prevalentemente rurali dove questa era completamente assente, e i risultati si sono visti. Nel 2005 il canale culturale della BBC, Radio 4, ha indetto un concorso tra i radioascoltatori del programma In Our Time, chiedendo a questi di scegliere il filosofo favorito in una rosa di 20 tra i più grandi nomi dall’antichità ad oggi e il vincitore è risultato di gran lunga Karl Marx. Non si può certo accusare i britannici di essere degli sfegatati bolscevichi, anzi!, ma certamente il pensiero di Marx, a più di 160 anni dalla sua formulazione, è decisamente attuale. In questo mondo di globalizzazione e industrializzazione a livello planetario, c’è la stessa alienazione degli operai inglesi dell’ottocento. Le condizioni dei lavoratori, che poi siamo la maggior parte della popolazione umana, non sono troppo cambiate ma addirittura sono peggiorate sia nei paesi in via di sviluppo, per le disumane condizioni di lavoro nelle fabbriche, sia in quelli sviluppati a causa della mancanza di lavoro che porta ad una competizione per un più ristretto numero di impieghi.

L’otto giugno sono ritornato a Matanzas ospite di Yanira e della sua famiglia e il giorno successivo sono andato a rinnovare il visto scaduto da cinque giorni. Siccome nel modulo d’estensione è obbligatorio porre un indirizzo reale e ufficialmente non potevo stare a casa di Yanira, ho dovuto fittiziamente fidanzarmi per risiedere con lei, perciò ora mi trovo in possesso di un visto tipo A-1, cioè familiare…

Il 13 giugno io e Yanira siamo andati in autobus a La Habana, a 90 chilometri di distanza, perché sono stato invitato a partecipare alla manifestazione Ciclomundi (www.ciclomundi.it/ ) che si è svolta in Italia, dove mi sono collegato via Skype e solo negli hotel internazionali della capitale ci sono reti WiFi dove ho potuto connettermi con il mio computer. L’incontro con la platea di Ciclomundi è durato 45 minuti dove ho raccontato la mia esperienza di cicloviaggio e ho risposto alle domande dei partecipanti all’evento. Quella notte siamo stati ospiti di Maria Lazo madre di Orlando Luis Pardo uno scrittore amico di Yanira che da un anno è riuscito a fuggire a Washington DC dopo esser entrato in rotta con il regime. Lei mi ha raccontato che la maggior parte dei suoi colleghi d’università e amici artisti nel corso degli anni sono andati via sia per ragioni politiche che economiche, una fuga di cervelli che sta dissanguando il paese delle sue più vitali risorse intellettuali, lasciando il campo libero all’ignoranza o, peggio, all’indifferenza.

Il 18 giugno, giorno del mio compleanno, ho portato tutta la famiglia al locale ristorante cinese e la mattina seguente ho pedalato a La Havana all’ostello dove ho lasciato il cartone per imballare la bicicletta e imbarcarla sul volo che domani mattina mi porterà in terra colombiana per attaccare la cordigliera delle Ande. Alla prossima.

PS: Yanira mi ha fatto dono del seguente sonetto, espressamente composto in occasione del mio compleanno e partenza.

“Por si vuelves, Matteo, te he dejado
las puertas entreabiertas de mi alma,
mi callada quietud, toda la calma,
el camino más bello y desandado.

Para que no te alejes demasiado
me quedo con tu paz, con tu recuerdo,
la certeza que vuelves, que no pierdo
la ternura y tu beso que he guardado.

Para fundir los dos nuestro destino
y volver a desandar este camino
sé que regresarás un día, mi amor.

No te tardes demasiado, mi chiquito,
mi viajero, mi amor, mi italianito,
trae de vuelta tus manos, tu calor.”

(Yanira Marimón, 18 Junio 2014)

Se avete domande o curiosità lecite, sarò lieto di rispondervi. mt@matteot.com

Sito Ufficiale del progetto con informazioni, foto e video www.travelforaid.com. Cronache precedenti www.travelforaid.com/cronaca

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