Sabato 2 Novembre 2024

Troppo lavoro e niente spasso ( il morale scende in basso )

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Prima di passare alla nuova tematica, vorrei ancora una volta ringraziare coloro i quali continuano a scrivermi via mail per proporre le loro questioni. Le tematiche che mi esponete sono sempre delle più disparate. Tra le tante, più di qualcuno mi ha scritto esponendo quesiti inerenti il complesso mondo dell’occupazione. In questo “momento” di profonda crisi economica, dove il lavoro non c’è, la prima questione che preoccupa molti di noi è comprensibilmente legata alla ricerca dell’occupazione. Ma non solo. Sono proprio i momenti di crisi economica che evidenziano ed amplificano le problematiche di chi un lavoro ce l’ha. Disagi e questioni legate allo stress, all’ansia ed alla dipendenza da lavoro. La lettera di Gianni (nome di fantasia), mi ha particolarmente colpito. Gianni è un concittadino che lavora in una delle (purtroppo) poche aziende locali. Partiamo subito col dire che Gianni è consapevole di essere “più fortunato rispetto ad altri” che oggi il lavoro non ce l’hanno. Anche per questo, si dedica al lavoro con tanto impegno e senso di responsabilità. Lentamente però, il suo lavoro ha finito per “ingoiare” altri aspetti fondamentali della vita di Gianni come la famiglia ed il tempo libero. Per molte persone, anche perché cresciute in un ambiente in cui l’amore genitoriale era subordinato ai risultati ottenuti, il rischio di diventare dipendenti dal lavoro è un pericolo reale. Non è raro infatti constatare che le persone che lavorano troppo, hanno avuto dei genitori con aspettative sproporzionate, o addirittura irrealistiche nei loro confronti. Durante l’infanzia hanno spesso percepito che niente di quello che facevano era fatto abbastanza bene per i loro genitori. Pertanto, crescendo hanno proiettato in sé un messaggio del tipo: “tu vali se riesci ad avere successo, e quindi, se ci fai fare bella figura”. Questi individui, da adulti, legano il proprio valore solo all’ottenimento di posizioni professionali di un certo livello, cercando in questo modo, di ottenere l’approvazione mancata quando erano bambini. Quasi tutti i lavoratori compulsivi si dimostrano particolarmente ambiziosi se non bramosi di successo. Per loro un lavoro normale è paragonato ad un fallimento. Nonostante a molti possa apparire curioso, tra le nuove forme di dipendenza a livello sociale, di recente è entrata a far parte proprio la dipendenza da lavoro. Si parla di workaholism o work addiction, quando è presente un’eccessiva dedizione al lavoro, che porta la persona a tralasciare le relazioni importanti e gli altri interessi. Fino al punto di scordarsi di se stessi. Fino al punto di perdere il limite tra ciò che è lavoro e ciò che non lo è. Nella maggior parte dei casi, le conseguenze sono una vita familiare e sociale distrutta, stati d’ansia, depressione e altre patologie da stress. Il tratto certamente più interessante a livello sociologico (ed anche il più pericoloso) è che, differentemente dalle altre forme di dipendenza, questa dipendenza è del tutto in linea con le aspettative sociali. Essere produttivi, infatti, è una delle attese più pressanti nella società in cui viviamo. Questo, “non conflitto” sociale, non aiuta certo al riconoscimento del problema. Infatti, nella stragrande maggioranza dei casi, sono solo i familiari o chi sta vicino alla persona ad avvertire il problema e a chiedere aiuto. Presi come siamo dai ritmi folli del nostro tempo è diventato difficile “guardarsi dall’esterno”. Trovare il tempo per la pianificazione interiore e per riflettere. Tornare a casa un po’ prima dal lavoro è sempre più difficile. C’è crisi e bisogna “spingere” di più. Eppure, dedicare più tempo al partner durante la settimana e durante il week-end, chiamare più spesso gli amici e ritagliare più tempo per se stessi, è la chiave per essere più rilassati. Più lucidi e quindi più concentrati. Con stupore, forse, scopriremmo che lavorare meno, mettendo in atto questi piccoli accorgimenti, potrebbe anche aiutarci ad aumentare la nostra produttività.

 Roberto Talamo

Roberto-Talamo

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Caro sociologo ti scrivo · News

Commenti

  • Quanta verità nelle sue parole dott Talamo. Seppur con ironia lei ha probabilmente centrato la via per uscire dalla crisi. Ofnuno nel proprio come in generale nella società.

    brillo 10/06/2014 14:09 Rispondi

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