Poco valorizzata la memoria storica di Manfredonia
Nel corso della cerimonia di commemorazione della liberazione d’Italia dalle forze di occupazione nazi-fasciste, il sindaco Angelo Riccardi ha opportunamente posto l’accento sulla coralità del popolo italiano nell’opporre una decisa resistenza alla crudele e cieca sopraffazione delle truppe tedesche anche nei confronti delle popolazioni inermi. Al nord come al sud. Nei grandi e nei piccoli centri abitati. E se la storia ufficiale ricorda fatti e misfatti accaduti nei primi, nulla o poco si sa di vicende intense di patriottismo drammaticamente vissute nei secondi. Tra questi anche Manfredonia. Nei ventotto giorni di occupazione tedesca ne sono accaduti di eventi che hanno provocato morti, distruzioni, saccheggi, e tutto quant’altro offre il vasto campionario di una battaglia portata nelle piazze e nelle strade.
Certo è difficile immaginare, sia pure in parte, quel che Manfredonia ha dovuto subire ma anche come ha saputo reagire in un frangente forse tra i più dolorosi e angosciosi della sua pur lunga e travagliata storia. In tutta la città non vi sono infatti tracce significative che facciano cenno non solo a quella articolata memoria relativamente recente ma anche a quella cospicua riferita ai secoli passati che hanno contrassegnato il divenire di Manfredonia. Non una lapide, un riferimento, un qualcosa di tangibile che ricordi alle generazioni che sono seguite e seguiranno, eventi che oltre a tratteggiare la storia del territorio, richiamano valori fondamentali come la pace, il vivere civile, la fratellanza fra i propoli. Una dimenticanza o piuttosto una trascuratezza nei confronti di eventi straordinari degni di essere ricordati e di personalità prestigiose protagoniste degli stessi. Non ci sarebbe che l’imbarazzo della scelta.
Quanto meno il centro storico, inteso nel senso più lato, potrebbe e dovrebbe essere pieno di segnacoli che evidenzino un episodio, un evento, una personalità. Conferirebbero alla città un aspetto più consapevole di sé stessa, mostrerebbe ai giovani da dove vengono sollecitandone l’orgoglio di appartenenza. Si farebbe un sia pur sintetico escursus del suo passato e sarebbe una attrazione stuzzicante anche dal punto di vista turistico, quello di base e strutturale. Avremmo insomma una Manfredonia meno anonima, distratta, ma più personalizzata, più consapevole di sé stessa, con un’anima trasparente.
Le parole non possono bastare, volant, e soprattutto non possono essere esaustive per assolvere al debito di riconoscenza verso quanti, protagonisti nei frangenti di difficoltà o nei baleni di gloria, hanno traghettato Manfredonia nei suoi oltre sette secoli e mezzo di esistenza. A cominciare dal fondatore della città Manfredi, passando per il sacco dei Turchi, dal duello di Camillo De Lellis, e via via fino ad arrivare all’arcivescovo Andrea Cesarano, la figura del secolo scorso che rifulge più di altre per l’umanità, l’operosità e l’amore pastorale con le quali ha contrassegnato il suo lungo ministero nell’archidiocesi di Manfredonia.
Un difensore ad oltranza della città, un pater del popolo al punto da offrire la propria vita in olocausto per salvare manfredoniani condannati a morte dai tedeschi. In quei ventotto giorni di occupazione tedesca la presenza infaticabile e addolorata, ma estremamente risoluta, di mons. Cesarano si è rivelata decisiva per la salvezza di vite umane (erano già pronti i plotoni di esecuzione), di ragazze letteralmente strappate dalle mani di militari tedeschi senza scrupoli; per scongiurare il brillamento di mine già piazzate sul porto, nei magazzini in cui erano riposte le derrate alimentari, l’incendio delle barche dei pescatori, e così via dicendo in una serie interrotta di interventi personali presso le autorità tedesche ora con accorate suppliche, ora con forti prese di posizione. Giorni convulsi, colmi di angoscia raccontati dallo stesso arcivescovo in un diario pubblicato di recente a cura di Antonio Tomaiuoli e la presentazione dell’arcivescovo Michele Castoro (L’occupazione militare tedesca a Manfredonia, 2011 Edizioni Sudest, 118 pagine). Una annotazione puntuale, accorata, palpitante, di episodi e situazioni vissuti in prima persona: quasi una sceneggiatura da film. E’ tra i pochi scritti dedicati a quel periodo breve ma intensamente drammatico prologo peraltro dell’altra occupazione questa volta pacifica degli alleati.
L’arcivescovo Andrea Cesarano ha tutte le caratteristiche spirituali, storiche, culturali per essere annoverato tra gli eroi di Manfredonia, meritevole pertanto non già di una occasionale menzione, o una commemorazione, bensì di un monumento architettonico che esprima la gratitudine di Manfredonia ed il perenne ricordo di un uomo, un vescovo che ha amato il suo popolo oltre la propria vita.
Michele Apollonio
Perfettamente d’accordo. Mons. Andrea Cesarano è stato un buon pastore ed era molto amato dal popolo. L’opera svolta quale sacerdote, uomo di cultura, non dimentichiamo che le scuole arcivescovili, specie quelle superiori, a lungo sono state le uniche in città, e l’eroismo dimostrato di fronte ai Tedeschi meritano molto rispetto e gratitudine.