Domenica 24 Novembre 2024

Rosso tramonto, ovvero il brigantaggio garganico raccontato dai protagonisti

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 Del brigantaggio si è scritto e detto tanto e di più senza mai che fosse fatta piena e chiara luce storica di un fenomeno senza tempo, alimentato da motivazioni diversificate. In tutte le varie epoche della storia dell’uomo, di briganti ce ne sono stati e ne hanno fatto di cotte e di crude. Di volta in volta attribuendo a questa enigmatica figura, un’aura di bandito senza scrupoli, di brutale criminalità, di difensore delle ingiustizie, di combattente per cause sociali e politiche, fino a ritenerlo un avventuriero non privo di fascino. Certo è che il brigantaggio si è sempre qualificato come fenomeno armato e violento nel cui ambito non sono mancate figure femminili di rilievo.

Di brigantaggio si parla addirittura nell’antica Roma allorquando, nel 185 a.C., Lucio Postumio Tempsano attuò una dura repressione di una rivolta scoppiata a Taranto. Lo stesso Giulio Cesare nel 45 a.C. ordinò di combattere il brigantaggio che infestava il suo impero. Non riuscì ad averne ragione neanche Napoleone. Bande di briganti hanno sempre imperversato lasciando ampia orma di sé nei secoli, avversati da monarchi, generali, papi e in tempio più recenti da governi, prefetti e forze di polizia senza mai arrivare a debellarli. E più li si combatteva e più riemergevano più numerosi e agguerriti. Il Cardinale Fabrizi Spada in un editto li bollò come “grassatori, banditi, facinorosi e malviventi”. Il fatto è che il brigantaggio ha trovato sostegno e linfa in situazioni estreme a sfondo politico e sociale nelle quali si sono innestati azioni violente a scopo di rapina, di estorsione e di omicidio.

Ma è nel Mezzogiorno d’Italia che il fenomeno del brigantaggio ha trovato terreno fertile, in modo particolare dalla fine del XVIII secolo al decennio successivo alla proclamazione del Regno d’Italia. Un periodo per tanti aspetti tormentato, controverso nel quale si incrociano sovente vicende legate al brigantaggio e sulle quali vanno sempre più emergendo verità che la storiografia ufficiale ha interpretato in modo non del tutto oggettivo. Da qualche decennio studiosi più attenti e disinteressati, sollecitati dalla ricorrenza del 150esimo dell’Unità d’Italia, vanno offrendo nuove visuali di realtà diverse da quelle fin qui raccontate, estratte da documenti ed archivi quanto meno poco e niente affatto considerati. Tra questi è da annoverare Tommaso Prencipe, un ricercatore del Nuovo centro di documentazione storica di Manfredonia, con all’attivo una serie di pubblicazioni inerenti al territorio sipontino-garganico, che ha appena dato alle stampe “Rosso tramonto” ovvero “Fatti e misfatti di un brigante garganico” (Edizione Nuovo centro di documentazione storica, pag. 236, euro 13). Sarà presentato venerdì 24 aprile, ore 18,30, all’auditorium dei Celestini. L’autore ci svela uno spaccato straordinario di vicende che hanno impregnato il promontorio garganico ammantandolo con un velo di sinistra violenza che Prencipe scruta con occhio scevro da condizionamenti storici e convenzionalismi di parte. Una revisione, la sua, filtrata attraverso il rigoroso vaglio della documentazione rinvenuta principalmente negli archivi comunali.

“E’ giunto il momento – afferma Prencipe – di presentare all’Italia quanto traspare dalla caterva di documenti degli Archivi di Stato, di quelli parlamentari, militari e comunali. Documenti che cancellano le bugie e i travisamenti della verità voluti dagli storici di regime o da quelli poco dotarti di spiccato senso critico. La storiografia sul fenomeno del brigantaggio – insiste – va sostanzialmente revisionata, riletta alla luce delle testimonianze originali che per fortuna si riesce ancora a ritrovare e che consentono di dare delle risposte ai tanti quesiti e interrogativi che la storia ha lasciato in sospeso”.

A cominciare dalla questione di fondo: se il passaggio dal governo dei Borboni a quello dei Savoia è stato di giovamento per il Sud, o l’inizio di amare esperienze? E quindi: se la nascita dell’Unità d’Italia è stata realmente una risposta a quello che è stato fatto passare come “grido di dolore” dalla storiografia ufficiale, ovvero l’esito di una conquista intelligentemente preparata a tavolino dalle gerarchie sabaude in combutta con altre nazioni europee? Eppertanto: l’opposizione del Sud alla conquista sabauda è da considerarsi un movimento spontaneo diffusosi nel mondo contadino e in quello di altri strati della popolazione per affermare i principi di uguaglianza e di giustizia prepotentemente soffocati dall’arroganza dei “galantuomini”?

Le pagine di “Rosso Tramonto” danno voce a testimonianze illuminanti di vicende consegnate colpevolmente all’oblio. I riferimenti sono precisi e certificati. Parlano i protagonisti ricacciati nel buio della storia perché non svelassero fatti e misfatti che attendono di avere giustizia.

Michele Apollonio

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