L’intervento del Sindaco, Angelo Riccardi, nel corso della cerimonia di scopritura della targa che intitola una via al nostro concittadino Angelo Velasquez.
La nostra città, come tanti altri comuni d’Italia, grandi e piccoli, ha dato un significativo contributo di sangue nel corso delle vicende, che hanno visto coinvolto il nostro Paese a partire dalla sua unificazione. Non sempre, però, è stato tributato il dovuto e dignitoso riconoscimento a chi ha compiuto il sacrificio supremo, donando la propria vita, perché noi potessimo vivere liberi nella nostra terra ed essere artefici del nostro destino.
Manfredonia ha, in verità, saputo distinguersi e non ha mai dimenticato i suoi figli, che per terra, per mare e per i cieli hanno difeso e onorato la patria. Accanto, infatti, alle lapidi, come quella in Piazza del popolo, e ai monumenti, come quello nella Villa comunale, nel corso degli anni ha sottoposto all’attenzione, alla riflessione e al ricordo di tutti il nome di questi suoi figli, dedicando loro delle vie, perché la loro vita, le loro imprese, i loro gesti fossero di monito e di esempio per tutti.
Oggi scopriamo quella in ricordo di Angelo Velasquez, tenente del 10° reggimento di fanteria ‘Regina’.
Il 1943 fu un anno cruciale per le sorti della seconda guerra mondiale e per la storia del nostro Paese: la caduta del Fascismo e l’armistizio. I giorni, successivi all’8 settembre, furono drammatici per le centinaia di migliaia di soldati italiani, lasciati allo sbando dai vertici politici e militari. La rappresaglia tedesca fu feroce e belluina. Più di mezzo milione di essi fu arrestato, moltissimi deportati o uccisi.
Oltre alle stragi più famose, c’è anche quella avvenuta in una piccola isola greca, Kos, di fronte alla città turca Bodrun, l’antica Alicarnasso, ai primi di ottobre del 1943. 103 giovani ufficiali dell’esercito italiano furono arrestati e trucidati dalla rabbia tedesca.
Tra di essi anche il nostro concittadino, Angelo Velasquez. Che, appena trentenne, fu strappato alla vita e agli affetti più cari, che, là lontano, nella solitudine e nel silenzio di una sofferenza atroce, erano sempre davanti ai suoi occhi e nel suo cuore. Né possono consolare i versi famosi del commediografo Menandro: “Muore giovane chi è caro agli dei”. Una vita spezzata, prematuramente, lascia ferite insanabili nelle persone amate e negli amici veri: un dolore atroce, che i ricordi più dolci acuiscono e alimentano ogni giorno di più in un silenzio amaro, che spinge a parlare con la persona cara perduta. E ogni gesto, e ogni oggetto, rimasto tra i ricordi, diventa il nostro interlocutore.
Io non so signora Pina, quante volte lei ha letto e riletto e quante lacrime ha versato su quella cartolina postale, l’ultima che Angelo le inviò il 13 luglio del 1943. Non mi è difficile immaginarlo, pensando alla tragedia che l’ha colpita e che ha accompagnato tutta la sua vita dal momento della terribile notizia.
Io sono certo, caro amico Vittorio, che quelle parole d’affetto sconsolato, intense, piene di angoscia, con le quali ti ricordava e si rivolgeva a te in quella cartolina, ormai ingiallita, le hai scolpite nel tuo cuore e sono state per te testamento spirituale e strazio che hanno segnato tutta la tua vita. Quello strazio, che solo in parte è stato attenuato dal gesto pietoso e generoso dell’amico, che ti ha portato da quel paese lontano un pugno di terra, di quella terra che accolse i miserandi resti di tuo padre.
Consentimi di rileggertele quelle parole, oggi, qui davanti alla tua cara mamma, alla tua sposa, ai tuoi figliuoli, ai parenti, agli amici, perché siano per tutti, a cominciare da me, di monito e motivo di profonda riflessione.
“Caro Vittorino, perché sei così piccolo e non puoi comprendere il mio dolore, non puoi confortarmi, non puoi aiutarmi. E continui a vivere nella tua beata innocenza. Come è triste il povero papà, quanto soffre, non sai che calvario è la sua giovane vita. Tu non mi conosci e nulla sai di me, tutto ignori. Quanto vorrei abbracciarti, tu piccola mia creatura sei il mio conforto. Ma tu sorridi beato e mi lasci nel mio abbattimento. Abbiti tanti bacioni dal tuo papà.
Salutami e baciami tanto tanto il piccolo Vittorino, il mio piccolo grande amore. Angelo.”
Il Sindaco di Manfredonia
Manfredonia ha, in verità, saputo distinguersi e non ha mai dimenticato i suoi figli, che per terra, per mare e per i cieli hanno difeso e onorato la patria. Accanto, infatti, alle lapidi, come quella in Piazza del popolo, e ai monumenti, come quello nella Villa comunale, nel corso degli anni ha sottoposto all’attenzione, alla riflessione e al ricordo di tutti il nome di questi suoi figli, dedicando loro delle vie, perché la loro vita, le loro imprese, i loro gesti fossero di monito e di esempio per tutti.
Oggi scopriamo quella in ricordo di Angelo Velasquez, tenente del 10° reggimento di fanteria ‘Regina’.
Il 1943 fu un anno cruciale per le sorti della seconda guerra mondiale e per la storia del nostro Paese: la caduta del Fascismo e l’armistizio. I giorni, successivi all’8 settembre, furono drammatici per le centinaia di migliaia di soldati italiani, lasciati allo sbando dai vertici politici e militari. La rappresaglia tedesca fu feroce e belluina. Più di mezzo milione di essi fu arrestato, moltissimi deportati o uccisi.
Oltre alle stragi più famose, c’è anche quella avvenuta in una piccola isola greca, Kos, di fronte alla città turca Bodrun, l’antica Alicarnasso, ai primi di ottobre del 1943. 103 giovani ufficiali dell’esercito italiano furono arrestati e trucidati dalla rabbia tedesca.
Tra di essi anche il nostro concittadino, Angelo Velasquez. Che, appena trentenne, fu strappato alla vita e agli affetti più cari, che, là lontano, nella solitudine e nel silenzio di una sofferenza atroce, erano sempre davanti ai suoi occhi e nel suo cuore. Né possono consolare i versi famosi del commediografo Menandro: “Muore giovane chi è caro agli dei”. Una vita spezzata, prematuramente, lascia ferite insanabili nelle persone amate e negli amici veri: un dolore atroce, che i ricordi più dolci acuiscono e alimentano ogni giorno di più in un silenzio amaro, che spinge a parlare con la persona cara perduta. E ogni gesto, e ogni oggetto, rimasto tra i ricordi, diventa il nostro interlocutore.
Io non so signora Pina, quante volte lei ha letto e riletto e quante lacrime ha versato su quella cartolina postale, l’ultima che Angelo le inviò il 13 luglio del 1943. Non mi è difficile immaginarlo, pensando alla tragedia che l’ha colpita e che ha accompagnato tutta la sua vita dal momento della terribile notizia.
Io sono certo, caro amico Vittorio, che quelle parole d’affetto sconsolato, intense, piene di angoscia, con le quali ti ricordava e si rivolgeva a te in quella cartolina, ormai ingiallita, le hai scolpite nel tuo cuore e sono state per te testamento spirituale e strazio che hanno segnato tutta la tua vita. Quello strazio, che solo in parte è stato attenuato dal gesto pietoso e generoso dell’amico, che ti ha portato da quel paese lontano un pugno di terra, di quella terra che accolse i miserandi resti di tuo padre.
Consentimi di rileggertele quelle parole, oggi, qui davanti alla tua cara mamma, alla tua sposa, ai tuoi figliuoli, ai parenti, agli amici, perché siano per tutti, a cominciare da me, di monito e motivo di profonda riflessione.
“Caro Vittorino, perché sei così piccolo e non puoi comprendere il mio dolore, non puoi confortarmi, non puoi aiutarmi. E continui a vivere nella tua beata innocenza. Come è triste il povero papà, quanto soffre, non sai che calvario è la sua giovane vita. Tu non mi conosci e nulla sai di me, tutto ignori. Quanto vorrei abbracciarti, tu piccola mia creatura sei il mio conforto. Ma tu sorridi beato e mi lasci nel mio abbattimento. Abbiti tanti bacioni dal tuo papà.
Salutami e baciami tanto tanto il piccolo Vittorino, il mio piccolo grande amore. Angelo.”
Il Sindaco di Manfredonia
Angelo Riccardi