Il recente convegno per il 150esimo anniversario dell’affondamento del piroscafo Lombardo, usato da Giuseppe Garibaldi per la sua spedizione dei Mille in Sicilia, organizzato dal Centro di cultura del mare di Manfredonia e dall’associazione Marlin Tremiti, ha acceso i riflettori oltre che sulla sorte di quel piroscafo finito naufragato dinanzi a San Domino dell’arcipelago delle Tremiti, anche su alcune pagine per lo più inedite dell’avventurosa spedizione di Garibaldi e delle sue leggendarie camice rosse e in particolare dei volontari che partirono dalla Capitanata e dunque da Manfredonia.
A parlarne il professor Tommaso Prencipe, scrittore e studioso di storia locale facente parte del Nuovo centro di documentazione storica di Manfredonia. Un escursus interessante frutto di ricerche accurate con tante notizie poco o niente affatto note come quella della presenza in quella spedizione di una sola donna, moglie di Francesco Crispi, massimo promotore della spedizione dei Mille divenuto poi presidente del consiglio del Regno d’Italia.
Furono dunque numerosi i giovani dauni che seguirono l’eroe dei due mondi nelle sue imprese guerresche. Da Manfredonia ne partirono tre: Fernando De Petris, Pietro Cuccia, Michele Rosati; da Foggia 12; da Lucera 6; da San Severo 3; e da Rodi Garganico e Orsara di Puglia; uno ciascuno da Ischitella, Monte Sant’Angelo, San Marco in Lamis, Sannicandro Garganico.
Menzione a parte merita Raffaele Fatone, che si arruolò a 17 anni nell’esercito garibaldino meritandosi due medaglie di bronzo al valor militare e numerosi encomi solenni; combatté tra l’altro nella storica battaglia della Breccia di Porta Pia nella divisione di Nino Bixio e fu tra i primi ad entrare in Roma. Nel luglio 1911, il sindaco di Manfredonia Capparelli gli rilasciò un attestato di merito per uso vitalizio.
Due corbezzoli, la pianta simbolo dell’Unità d’Italia i ci colori (verde delle foglie, rosso dei frutti, bianco dei fiori) ricordano la bandiera italiana, furono piantati in Piazza Italia a Foggia a ricordo di due valorosi garibaldini: Leonardo Albanese, caporale trombettiere, del quale nel museo civico di Foggia sono conservati numerosi cimeli tra cui quattro medaglie al valore, e Giosuè Maldacea dallo stesso Garibaldi decorato con medaglia d’argento e promosso al grado di maggiore (divenne poi colonnello nell’esercito piemontese). Foggia gli ha dedicato un monumento eretto nella villa comunale.
Notevole fu il contributo di sangue offerto dai giovani di Capitanata. Nella terza guerra d’indipendenza nella battaglia di Custoza (24 giugno 1866) persero la vita Luigi Carpano e Michele Pinto di Manfredonia, Antonio Passantonio e Gabriele Tanzano di San Marco in Lamis, Michele Di Mauro e Luigi Bonghi di Lucera, Francesco Paolo Paladino di Candela, Alessandro Castelnuovo di Serracapriola. Ucciso invece da fucile ignoto mentre faceva ritorno a piedi nella sua città natale Rignano Garganico, Raffaele De Lillo, laureato farmacista che non esitò a lasciare tutto e partire con i Mille per Marsala meritandosi tre medaglie al valor militare.
Manfredonia diede un notevole contributo anche come supporto logistico: il porto fu base per il movimento di soldati e di materiale bellico e l’ospedale Orsini ospitò numerosi garibaldini. Una nota spese del 1860 evidenzia uscite per 1.349 ducati.
La splendida medaglia delle imprese dei garibaldini ha un rovescio – ha annotato Prencipe – non proprio esaltante anzi alquanto raccapricciante. Si distinsero tra l’altro nella repressione di quanti non si allinearono all’esito del plebiscito del 1860 per l’Unità d’Italia. Mentre a Manfredonia ci fu una adesione unanime al plebiscito anche per effetto delle violente repressioni subite nei moti rivoluzionari del 1848 (l’unico fatto eclatante fu il rifiuto dell’arcivescovo Vincenzo Taglialatela di celebrare il Te Deum in onore di Vittorio Emanuele II), feroci repressioni si ebbero a Roseto Valfortore e San Giovanni Rotondo. A Roseto sei giovani dai 21 ai 27 anni vennero fucilati perché simpatizzanti dei Borboni. A San Giovanni Rotondo il popolo insorse uccidendo 24 liberali. La repressione non fu meno violenta: vennero inviati mille garibaldini, 64 soldati di cavalleria e 200 militi della Guardia nazionale. Dieci tra gli insorti vennero fucilati. Cinque manfredoniani rischiarono anch’essi di finire passati per le armi perché ritenuti cittadini di San Giovanni Rotondo. Furono salvati in extremis dal provvidenziale intervento del manfredoniano Lorenzo Gatta, della Guardia nazionale in perlustrazione nella zona. Il responso delle urne fu di 850 si e 9 no. Anche San Marco in Lamis si oppose al plebiscito. Ma la massiccia presenza di baionette garibaldine convinse la popolazione ad andare a votare: il risultato fu di 3.022 si e zero no. Non ci fu spargimento di sangue ma la città fu costretta a pagare una ingente somma ai garibaldini e ai soldati piemontesi. “Per una rivalsa della storia – ha ricordato Prencipe –San Marco in Lamis è stato il primo comune della Capitanata ad organizzare un comitato per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia”.
Allo scioglimento dell’esercito garibaldino parte dei volontari si arruolarono nell’esercito piemontese e parte finì per alimentare il deleterio fenomeno del brigantaggio, la matrice delle varie deviazioni criminali oggi esistenti. Un fenomeno indagato dallo stesso Tommaso Prencipe nel libro “Rosso tramonto: fatti e misfatti di un brigantaggio garganico” appena pubblicato nella collana del Nuovo centro di documentazione storica di Manfredonia.
Michele Apollonio
Ringrazio il Prof. Tommaso Prencipe per la citazione del mio trisavolo garibaldino, Pietro Cuccia. Originario di Mezzojuso-Pa-,cl.1843, seguì Garibaldi nelle sue imprese e a Manfredonia sposò Maria Giovanna Be, dando vita a una numerosa progenie comprendente il canonico don Lorenzo Cuccia e la mia bisnonna Elena, sposa di Adolfo Castriotta, fondatore, all’inizio del 900, della prima pasticceria della città.