Lunedì 18 Novembre 2024

Salveranno le seppie l’economia cittadina?

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Pesca che va, pesca che viene. Dopo la “campagna” della pesca del bianchetto, ecco quella delle seppie. E se la prima è divenuta oramai di contrabbando per via delle misure restrittive sulle attività di pesca decise dalla Comunità europea, la seconda si effettua proficuamente secondo una antica consuetudine risalente addirittura alla Siponto romana. Una attività di pesca regolamentata peraltro da leggi e ordinanze, la più antica emanata nel 1812, la più recente nel 1985.

Nell’arco del golfo di Manfredonia vi è un tratto che va da Siponto a Zapponeta, prediletto dalle seppie per deporvi le uova per la loro riproduzione, che i pescatori si contendono per assicurarsi le postazioni migliori. Di qui la necessità di regolamentare con apposite norme l’attività. Così da secoli.

Nell’approssimarsi della primavera, invariabilmente il mare antistante il litorale sipontino è attraversato da un via vai affollato e continuo di quei molluschi cefalopodi impegnati a lasciare le proprie uova per essere fecondate. Gli storici sono concordi nel ritenere che il toponimo Siponto derivi dal latino sepia.

Un tempo la battigia di quel litorale, prima che venisse colonizzato dall’uomo per impiegarlo in attività balneari, era occupato da distese di lentisco, un piccolo arbusto sempreverde, tra le cui ramificazioni le uova trovavano riparo. Per alcuni mesi da aprile a giugno, quel braccio di mare si popolava di quel magnifico invertebrato dotato di raffinata intelligenza. Che tuttavia non gli ha evitato di finire nelle reti che i pescatori ponevano giusto in quell’area marina. Reti da “posta” opportunamente sistemate di traverso al traffico di seppie in modo da intrappolarle.

Le fasce di mare più pescose e quindi più ambite dai pescatori, erano e sono ritenute quelle più prossime alla battigia. Più che una gara fra pescatori, era una guerra. Tanto che sono dovute intervenire le autorità marittime che hanno regolamentando le modalità di accesso a quella pesca. Le varie normative concepite prevedono la suddivisione dell’area marina antistante la parte centrale del golfo, in “appezzamenti”, come usa fare per i terreni. Una commissione stabiliva il numero degli appezzamenti che venivano assegnati attraverso un sorteggio alla presenza dell’autorità marittima. Sulla zona assegnata il pescatore aveva l’esclusiva della pesca. Per la cerimonia del sorteggio è stato scelto quello della ricorrenza di San Giuseppe.

Ancora oggi, anche se molte cose sono cambiate, la pesca delle seppie avviene in tutto e per tutto con quell’antica collaudata pratica. I risultati sono sempre più che soddisfacenti e remunerativi. Una buona campagna di seppie mette a posto i bilanci dei pescatori. Le ricadute sull’economia cittadina sono evidenti.

La campagna delle seppie è una delle pesche specifiche del golfo di Manfredonia. Si alterna, come i frutti nell’agricoltura, ad altre pesche che nel novero della pescosità di questo mare, si segnalano come “stagionali”: così ad esempio per le triglie, le canocchie, i polpi, i suri, i totani e via dicendo.

Fino ad un paio di anni orsono faceva parte di questa lista anche il bianchetto messo al bando da Bruxelles perché novellame di alici e sarde. Una ricchezza invernale perduta o quasi. In questi mesi sui mercati ambulanti se n’è infatti visto (e consumato) come non mai, pescato e venduto naturalmente clandestinamente. Dovrebbe sostituirlo il rossetto che, al contrario del bianchetto, allo stato adulto non va oltre i 2/3 centimetri. “Dovrebbe” perché Bruxelles ne ha autorizzato la pesca sperimentale, ma non la commercializzazione. Il solito giochetto a rimpiattino. Il danno economico è notevole dato che il rossetto ha un prezzo di mercato tra i più alti.

Le seppie ed altre specie ittiche costituiscono un significativo valore aggiunto di un settore che nonostante le difficoltà, presenta una considerevole produttività che si trasforma in consistente economia reale per la gran parte sommersa, incontrollata, e per tanti aspetti dispersiva. Basti pensare alle vicissitudini del mercato ittico. Si calcola ad oltre venticinque milioni di euro la capacità reddituale del settore che tuttavia rimane ai margini quanto meno della considerazione valutativa della dirigenza cittadina che non riesce a coordinare le risorse del territorio.

Quello della pesca e del suo variegato indotto, è uno degli esempi che denotano lo scollamento se non proprio la disgregazione del tessuto economico cittadino con tutte le conseguenze che ormai soffocano non diciamo lo sviluppo, ma la stessa consistenza della realtà manfredoniana. Tra i segnali evidenti oltre al già noto esodo degli abitanti, quello dell’abbandono delle banche di una piazza dove evidentemente non c’è molto denaro da rastrellare e gestire.

Michele Apollonio

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