Dall’età giolittiana alle prime lotte operaie di fine ‘800, le donne, organizzate nei movimenti femminili, rivendicavano migliori condizioni di vita e di lavoro e parità di trattamento salariale con gli uomini. Con il passare del tempo questi movimenti femministi si batterono affinché non solo il diritto al suffragio universale, ma anche quello all’istruzione, al lavoro fosse esteso a tutti, senza differenza di sesso. Lottarono, inoltre, per conquistare uguali diritti anche all’interno della famiglia, rifiutando il solo ruolo di madri e mogli e rivendicando l’indipendenza economica. Ricordiamo le prime attiviste italiane: Anna Maria Mazzoni, Anna Kuliscioff, Carlotta Clerici, Linda Malnati, Emilia Mariani, Maria Montessori e Teresa Mattei che lottarono per la conquista dei diritti civili. Con Dlg.vo n. 23 del 31 gennaio 1945 si conferiva il diritto di voto alle italiane. L’8 marzo 1946 le donne potevano votare ed erano vicine all’ottenimento dell’eleggibilità, raggiunta due giorni dopo con decreto n. 74. In quel clima di contentezza la “mimosa” venne associata per la prima volta ai festeggiamenti della Giornata internazionale della donna per merito di Teresa Mattei, dirigente nazionale dell’Unione Donne Italiane, che la suggerì al posto delle violette usate in Francia, perché è un fiore più povero, diffuso nelle campagne. Successivamente le lotte femministe si orientarono verso la modifica del diritto di famiglia, l’istituzione dei consultori familiari, la legge sulle pari opportunità, la liberalizzazione dei contraccettivi e l’approvazione delle leggi che regolano l’aborto. Anche se, grazie al femminismo, nella maggior parte del mondo le donne hanno conquistato il riconoscimento formale di molti diritti, esistono ancora molte discriminazioni sessuali. Una piaga che da decenni colpisce l’integrità della donna, a qualsiasi latitudine e longitudine della Terra, è il “femminicidio” cioè la violenza perpetuata dai mariti, partner o ex compagni. Nonostante le leggi e i provvedimenti coercitivi come quello sullo stalking la violenza sulle donne persiste ed è sempre molto feroce.
La Regione Puglia ha elaborato il testo di legge “Norme per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere, il sostegno delle vittime, la promozione della libertà e dell’autodeterminazione delle donne”, nella seduta di Giunta regionale lo scorso 4 marzo e che ora inizia il suo iter in Consiglio per l’approvazione definitiva, prevista entro la fine del mese. Per ora la legge godrà di un finanziamento di circa 900 mila euro. “La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani, la peggior forma di discriminazione che non ci stancheremo mai di combattere con ogni mezzo. Lottare contro ogni forma di violenza nei confronti delle donne è un obbligo umano e civile prima che politico”, spiega così l’assessore regionale alla Salute e al Welfare Elena Gentile. Tra gli obiettivi principali del testo del disegno di legge c’è quello di consolidare e rafforzare la rete dei servizi territoriali che assicurano interventi urgenti e indifferibili, contando esclusivamente sull’impegno volontario delle operatrici dei centri Antiviolenza. Inoltre è prevista l’assistenza alloggiativa qualora la donna, sola o con figli minori, debba allontanarsi dall’abitazione familiare perché è in pericolo, mentre l’assistenza economica diventa necessaria fintanto non si provvede a strutturare un percorso di inserimento o reinserimento socio-lavorativo. Sono stati individuati dei percorsi privilegiati di accesso per le vittime di violenza negli ospedali e nelle Asl che saranno dotati di personale competente e adeguatamente formato. Il testo di legge interviene anche sotto il profilo della formazione e della sensibilizzazione, fissando una serie di principi che, assieme alla campagna di comunicazione avviata nel mese di settembre 2013, mirano a rafforzare la cultura del rispetto, dell’educazione all’affettività e la decostruzione degli stereotipi di genere. La cultura dell’uguaglianza fra i sessi deve formarsi inizialmente nell’ambito familiare per poi seguire in quello scolastico, partendo proprio nella scuola primaria in cui il bambino sta formando la propria coscienza di Sé inglobata in quella della comunità che lo circonda. Negli istituti scolastici di ogni ordine e grado di Manfredonia si seguono percorsi educativi nell’ottica dell’uguaglianza di genere per il riconoscimento dei diritti sociali di cittadinanza. E’ importante estendere la “cultura di genere” anche in altre “agorà sociali” come le parrocchie, le palestre, le associazioni, i pub ed i social-network in cui i giovani allacciano le proprie amicizie.
Grazia Amoruso