Interrogazione a risposta scritta al Presidente della Giunta Regionale On. Niki Vendola e l’Assessore alle Risorse Agricole Dr. Fabrizio Nardoni, da parte del consigliere regionale Forza Italia Giandiego Gatta,per sapere e conoscere:
1) Quali sono i motivi per cui non sono stati invitati i Comuni ed altre associazioni di categoria degli allevatori.
2) Se non ritengano, vista la natura demaniale dei terreni, che la disciplina del pascolo debba essere trattata non solo con i Comuni, ma anche con l’ufficio regionale preposto, qual è quello agli Usi Civici.
3) Se intendano attivarsi per poter riaprire il confronto con le associazioni degli allevatori pugliesi escluse dalla prima sessione di incontri, e con i Comuni montani gestori del demanio civico.
4) Come intendano procedere nel presente e nel futuro per garantire agli operatori privati il rinnovo della “fida”.
5) Se non ritengano che sarebbe opportuno procedere, nell’immediato, ad una sospensione ed a una rivisitazione del regolamento n° 27/2013, anche alla luce delle motivazioni richiamate.
La vicenda ricostruita nell’interrogazione di Gatta: La Regione Puglia, con proprio regolamento del 30/12/2013, n°27, pubblicato sul BURP del 31/12/2013, ha disciplinato l’attività pascoliva sul territorio regionale, sia per quanto attiene alle procedure amministrative autorizzatorie per l’esercizio del pascolo sull’intero territorio regionale, che per le concessioni di terreni boscati e pascolivi sul demanio forestale regionale, avendo a riferimento il R.D. 3267/1923 e la legge 353/2000 (Legge quadro in materia di incendi boschivi e le prescrizioni di massima e di polizia forestale).
- Le norme previste nel regolamento si applicano alle aree SIC e ZPS della “Rete Natura 2000”, in assenza di specifici piani di gestione, ed ai terreni sottoposti a vincolo idrogeologico;
- La proposta di regolamento fu trasmessa dagli uffici regionali preposti, all’Ente Parco Nazionale dell’Alta Murgia, a quello del Parco Nazionale del Gargano, al Corpo Forestale dello Stato, all’Agenzia degli Impianti lrrigui e Forestali, all’Associazione Regionale Allevatori della Puglia, alla Federazione Regionale Coldiretti ed alla Confcooperative Puglia, quali portatori di interessi, al fine di “acquisire ogni utile suggerimento e procedere ad eventuali modifiche o integrazioni“, escludendo, di fatto, i comuni ed altre associazioni di categoria;
- la maggior parte dei comuni, soprattutto quelli classificati montani ed i cui territori ricadono in aree SIC e ZPS, gestiscono, per conto della collettività, vasti demani a valenza agro-silvo-pastorale soggetti ad uso civico.
- nel Comune di Monte Sant’Angelo il demanio è esteso per circa 5.950 ettari, ed è costituito da pascoli, aree rimboschite, fustaie di cerro, di faggio, di boschi misti di latifoglie e leccete. Annualmente tali aree vengono concesse in fida ai residenti, per lo più conduttori di aziende ad indirizzo agro zootecnico, che immettono, secondo usi e consuetudini, gli animali al pascolo. Il vasto demanio è, pertanto, di vitale importanza per la sopravvivenza di non poche aziende zootecniche, soprattutto di quelle dislocate nelle aree interne, boscate, e che dispongono di esigue estensioni di terreno seminativo.
Il mancato coinvolgimento dei comuni nella fase di predisposizione del regolamento comporta, alla data odierna, tutta una serie di problematiche connesse alla sua attuazione, soprattutto per quanto concerne la concessione della fida pascolo, mediante la quale si dovrà garantire la fruizione a quanti che ne faranno richiesta, per le seguenti motivazioni:
1) difficoltà di suddividere, in tempi relativamente brevi, l’intero territorio nelle tre fasce altitudinali di cui all’art. 3 del regolamento, in cui, in tempi diversi, è consentito l’esercizio del pascolo
2) impossibilità di ascrivere le formazioni vegetanti sul territorio alle tipologie di cui all’art. 13 del regolamento, quali il pascolo, il pascolo cespugliato (30% della superficie), il pascolo fortemente cespugliato (pari al 60% della superficie), i boschi a scarsa densità (pari al 30% della superficie), e i boschi;
3) accertare quali boschi, di cui al comma 2 dell’art. 6, sono da considerarsi come “vetusti e degradati” su cui “il competente Servizio può consentire il pascolo in forma limitata, indicandone la durata, il carico massimo del bestiame, la ripartizione in sezioni ed i turni di riposo“.
4) tali aree avrebbero dovuto essere individuate e suddivise prima dell’approvazione e pubblicazione del regolamento, per consentire ai Comuni di poter predisporre un piano tale da consentire a tutti di poter immettere gli animali al pascolo, sia nelle proprietà comunali che in quelle private, piano da sottoporre all’approvazione regionale.
5) il Servizio Foreste non ha alcuna autorità al rilascio dell’autorizzazione al pascolo nella proprietà comunale ai privati che ne faranno richiesta, com’è previsto nel regolamento, autorizzazione che, al contrario, dovrà essere concessa ai Comuni, i quali procederanno alla successiva assegnazione dei terreni ai cives.
In merito alla natura demaniale dei terreni, di cui il regolamento non fa alcuna menzione, la disciplina del pascolo avrebbe dovuto essere trattata non solo con i Comuni ma anche con l’ufficio regionale preposto, qual è quello agli Usi Civici, avendo a riferimento anche la normativa statale e regionale in materia, quali la legge 1766/1927, la legge 332/1928 e la legge regionale n°7/98 e successive modifiche ed integrazioni.
Della L.R. n° 7/98 e s.m.i., si vuole richiamare l’ art. 15 il quale prevede, al comma l. che “restano salvi gli usi civici nelle aree protette e vi sono esercitati secondo le consuetudini locali, o secondo regolamenti predisposti dagli enti di gestione dei beni civici“, e al comma 2 che “l’eventuale incompatibilità degli usi con la conservazione dell’ambiente, compresi i diritti di caccia e di pesca, deve essere dimostrata dall’ente parco“.
Si ritiene dunque che debba procedere all’integrazione dell’articolo 2 del regolamento de quo, il quale prevede che sono fatte salve le disposizioni sul pascolo contenute negli strumenti e nei provvedimenti specifici adottati dagli enti di gestione delle aree naturali protette, d’intesa con il competente Servizio della Regione, con le disposizioni di cui all’art. 15 della legge n°7/98. Ciò consentirebbe forme di allevamento del tipo brado e/o semibrado, senza alcuna limitazione.
Nel regolamento n°27/2013 si esclude del tutto la possibilità di poter allevare razze autoctone, quali la capra garganica. Difatti l’art. 5 vieta il pascolo delle capre nei boschi e nei terreni ricoperti da cespugli aventi funzioni protettiva e nei boschi in rinnovazione, come da art. 9 della L. 3267/1923.
L’art. 25 delle Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale valide per la Provincia di Foggia, non considerate nella stesura del regolamento, recitano: “esso è di regola vietato nei boschi e nei terreni ricoperti di cespugli aventi funzioni protettive “.
La CC.I.AA. su conforme proposta dell ‘Amm. Ec. M Foreste, (ora Regione) può eccezionalmente autorizzare il pascolo predetto, esclusi, in ogni caso, i boschi di cui all’art. 7 del presente regolamento (boschi situati su terreni mobili, quelli in forte pendenza e quelli soggetti a valanghe). “Nel caso in cui l’autorizzazione sia stata concessa, le capre devono essere avviate al pascolo senza soste per le strade stabilite “; “colui che immetta le capre al pascolo nei terreni comunali deve ottenere la licenza del Sindaco, dalla quale deve risultare il numero delle capre e l ‘indicazione dei terreni nelle quali viene esercitato il pascolo“.
La maggior parte delle aziende con allevamenti caprini sono dislocate nelle fasce altitudinali caratterizzate da forme di vegetazioni del tipo macchia mediterranea, con presenza di cespugli aventi funzione protettiva, appare chiaro che le stesse sono destinate a scomparire, con perdita di reddito, scomparsa di razze autoctone e di prodotti tipici che, in area protetta, dovrebbero essere tutelati e valorizzati; nel regolamento non si contempla affatto la possibilità che il Sindaco possa rilasciare autorizzazioni al pascolo caprino nei territori comunali; il comma 2 dell’ art. 6 potrebbe escludere dal pascolo quei boschi interessati da interventi di tipo basso e moderato, fatto questo non previsto né nella legge del 1927, tantomeno dalle prescrizioni di massima; i boschi assoggettati a tale tipologia di intervento non ricevono alcun danno dal bestiame. Infatti, con l’intervento si procede alla eliminazione delle piante danneggiate da avversità, prive di avvenire, secche o deperienti, sia che si tratti di boschi pubblici che di privati, la cui mancata esecuzione potrebbe comportare conseguenti negative per le aree boscate interessate, quali diffusione di parassiti, in caso di presenza di fitopatie. aumento del legno morto con problemi di diffusione di incendi; in alcuni casi sono di estrema importanza per la sopravvivenza del bosco stesso, che si abbia o meno un reddito dall’intervento derivante dal materiale legnoso ritratto; i danni che il pascolo potrebbe arrecare sono del tutto nulli a causa dell’assenza di rinnovazione, e il semplice fatto che il Servizio Foreste potrebbe escludere dal pascolo comporterebbe, di fatto, anche il mancato riconoscimento della fida. la impossibilità di esercitare il pascolo nei periodi previsti dall’ art. 3 in precedenza richiamato, potrebbe portare a non poche conseguenze negative per quelle aziende zootecniche aventi terreni in una sola delle fasce indicate.